Footwork: il suono di una cultura in movimento

Testo di Giulia Maria Scrocchi Il footwork non è un genere musicale. Booom. L’abbiamo. Detto. E non è nemmeno un semplice stile di danza. È un contrasto, un campo di sfida in cui corpo e suono si incontrano e si scontrano, senza tregua. Ogni passo è un guanto di sfida, un invito a rispondere, a… L'articolo Footwork: il suono di una cultura in movimento proviene da Dance Like Shaquille O'Neal.

Jan 14, 2025 - 14:54
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Footwork: il suono di una cultura in movimento

Testo di Giulia Maria Scrocchi

Il footwork non è un genere musicale. Booom. L’abbiamo. Detto. E non è nemmeno un semplice stile di danza. È un contrasto, un campo di sfida in cui corpo e suono si incontrano e si scontrano, senza tregua. Ogni passo è un guanto di sfida, un invito a rispondere, a spingere il proprio corpo oltre il limite. Ogni battito è un’arma, un codice, un linguaggio che racconta storie di resistenza e trasformazione.

Le sue radici affondano profonde nella tradizione musicale afroamericana. Soul, funk, disco, hip-hop e house scorrono nel suo DNA, ma la scintilla che lo ha fatto emergere è scattata nei sobborghi di Chicago, precisamente nel South e West Side negli anni ’90.
Qui, nella città dell’house music, ghetto house e juke iniziano a riscrivere le regole, alimentando un’evoluzione fatta di accelerazioni frenetiche, ritmi spezzati e tensione costante. Come suggerisce il nome, il fulcro è nei piedi, che si intrecciano in schemi di passi serpenteschi.

Per capire meglio il footwork, dobbiamo però rimettere le mani al catalogo di Dance Mania, etichetta discografica creata da Jesse Saunders e poi ceduta a Raymond Barney nel 1986, che aveva a Chicago il suo negozio di dischi e distribuzione “Barney’s”.
Insieme a Trax Records e D.J. International, Dance Mania è oggi immortalata negli annali della musica da ballo tra i fautori della prima, iconica, immortale: Chicago house.
Dance Mania però, non aveva “creato nulla di nuovo”, in termini di house music, se non reinterpretare quello che era il “classico” stile house di Chicago, creando la propria impronta distintiva di ritmi grezzi ed estremamente veloci, combinati con voci fuori campo a sfondo sessuale. Precisamente tra il 1994 e il 1995, Dance Mania contribuì a definire il nuovo sound della ghetto house, rimboccando ulteriormente il prezioso legame con l’hip hop. Perché ecco, ci vuole una piccola nota: la musica elettronica da ballo è, da sempre, legata all’hip hop. Lo è stata quando DJ Kool Herc scratchava e lo è stata quando Dance Mania integrava vocal hip hop nelle tracce. E continuerà ad esserlo.
Girando per Chicago, incontrare un DJ hip hop che suonava dischi hip-house usciti su Dance Mania, Trax e Strictly Rhythms era una cosa più che ordinaria. Dance Mania oggi è diventata un culto, un tassello di storia che non si può soprassedere, con un catalogo che in molti sognano di completare.
DJ Deeon, DJ Funk, Slugo, Parris Mitchell e DJ Milton, sono stati alcuni tra i pionieri di Dance Mania che hanno strappato via ogni patina che la disco aveva lasciato all’house music, per creare tracce crude, carnali, intrise di energia e slang.

Per dare un po’ più di contesto, siamo nel 1998, quando Baby Come On di RP BOO, guadagna il titolo di prima “proper-track” riconducibile al footwork. La traccia strappa via il classico kick in 4/4 della house per lasciare spazio a una pulsazione frammentaria, un campo di gioco per ballerini, un terreno di fascinazione per gli ascoltatori. Di nuovo qui, possiamo seguire il discorso ragionando su cosa questa traccia “non era”.

Classics Vol. 1 by RP Boo

Non era solo un brano, né fatto per ballare né fatto per essere ascoltato; non era solo una serie di campioni. In un’intervista infatti, RB BOO dichiara che Baby Come On è come una conversazione, un botta e risposta tra lui stesso che usa i campioni e chi balla, che dunque usa i propri corpi.
DJ e ballerini si spingevano a vicenda in un’escalation infinita: i dischi venivano velocizzati, i beat diventavano sempre più complessi, più densi, più esigenti. Le serate – nei club, ma anche in palestre e magazzini – si trasformavano in arene, dove cerchi di ballerini si affrontavano.
In qualche modo, come anche Litebul (Chicago Footwork artist e dancer) descrive, le tracce non appartenevano davvero ai DJ, ma erano di chi ballava. Erano di tutti quelli nella stanza e in quella strada. I cerchi non erano semplici spazi di danza. Erano comunità, mondi a sé stanti, alimentati da un’etica di collaborazione e competizione.

DJ Rashad, Spinn, Traxman – giganti del genere e altri importanti soggetti in questa storia – erano prima di tutto parte di quel mondo. Erano ballerini, osservatori, cronisti della pista. Ogni brano nasceva da un’osservazione, da un’intuizione catturata nel movimento.

Innovatore e figura centrale del collettivo Teklife, Rashad Harden ha saputo ridefinire il genere portandolo fuori dai confini di Chicago. Perché Teklife nasce come un collettivo di artisti che condividevano una visione comune: elevare il footwork a una forma d’arte, esplorandone le potenzialità ritmiche ed emotive. Insieme a DJ Spinn, Traxman, DJ Manny e altri membri del collettivo, Rashad ha contribuito a cementare l’estetica distintiva del genere, spingendolo oltre i limiti della club culture e rendendolo un linguaggio.
Ghost di DJ Rashad rende esplicito questo legame, chiamando per nome i ballerini che ispiravano ogni nota: Poo! AG! Litebulb! E a loro volta, i ballerini avevano delle crew. C’era una operazione di addizione e non di sottrazione, c’erano i leggendari House-O-Matic, Taliban e Wolf Pac.

La musica sempre più competitiva delle varie realtà creatasi (tra cui Teklife di DJ Rashad e Juke Trax nei primi anni 2000) rifletteva la prospettiva di uno spostamento del footwork in altri contesti possibili, al di fuori del club. Un aspetto che ebbe molto a che fare con l’impatto che Teklife ebbe sul movimento. Rashad e Spinn erano compagni di scuola che condividevano il DJing e il ballo e come Boo erano stati membri degli House-O-Matic. I tre si sono conosciuti alle feste del West e del South Side, dove hanno anche incontrato gli innovatori del footwork e gli ex allievi di Dance Mania, Traxman e DJ Clent (di cui vi menzioniamo la sua 3rd Wurle).

3rd World / Hit It From the Back by DJ Clent

E’ proprio grazie alla “seconda ondata di artisti” però, che DJ e i produttori incominciavano ad affinare sempre più la loro musica con tratti distintivi ben precisi e a fuoco, sempre più distanti da Dance Mania e più aderenti al contemporaneo. Per tutto il primo decennio del millennio formano comunità e suono autonomi intorno ad eventi come Battle Groundz e War Zone, legati da questa stretta relazione mutualistica tra forma e funzione. I brani a volte potrebbero risultare complessi, ma quando un danzatore è bravo ad esprimerli, allora sarà quello il momento in cui il brano arriverà ancora di più e non sembrerà più complesso, ma un “tutt’uno”. I ballerini danno alle persone quell’immagine pittorica che gli permette di comprendere. E d’altronde, l’uomo non è da tutta la vita che cerca di comprendere la musica?

Certo è anche vero che c’è stato un momento in cui il footwork ha rischiato di restare confinato nei cerchi di Chicago, legato indissolubilmente alle sue radici locali. Fino a che viene ufficialmente importata in UK e poi successivamente in Europa, grazie a tre figure di spicco della musica elettronica britannica: il boss di Hyperdub, Kode9, Mike Paradinas, che gestisce l’etichetta britannica di culto Planet Mu e Addison Groove (pseudonimo del produttore dubstep di Bristol Headhunter).

Mike Paradinas, ha saputo intercettare quell’energia e ne ha intuito il potenziale globale, trasformando Planet Mu nel megafono attraverso cui il footwork ha trovato un pubblico ben oltre i confini della sua città natale. Tutto è iniziato con una curiosità per il juke. Poi nel 2010, la compilation Bangs & Works Vol. 1 prende vita, raccogliendo tracce di DJ Rashad, DJ Elmoe, DJ Spinn, DJ Clent, Traxman e altri pionieri.

Bangs & Works Vol.1 (A Chicago Footwork Compilation) by Various Artists

L’album non si limitava a documentare una scena: era un manifesto, un billboard enorme e luminoso piazzato oltre oceano che urlava: esistiamo e stiamo arrivando!
Il genere ha messo direi spontaneamente le radici nel panorama rave post-dubstep britannico grazie appunto, alla compilation Bangs and Works Vol. 1 e all’irresistibile Footcrab di Addison Groove, pubblicato su Swamp 81 lo stesso anno.

A questo punto Planet Mu stava entrando nel suo secondo decennio di sviluppo di voci uniche nella musica elettronica, contemporaneamente alla peculiare attenzione a progetti footwork come Double Cup di DJ Rashad o Da Mind of Traxman, entrambi viaggi intricati attraverso i codici e i suoni della scena.

Double Cup by DJ Rashad

Perché – tornando al gioco dei no – Planet Mu non ha solo rilasciato della musica d’oltreoceano che poteva suonare “nuova” come già era successo tante volte in UK, ma ha offerto un contesto, una narrativa, portandolo nei club europei, nei festival, negli spazi in cui il suo potenziale performativo poteva esprimere la sua potenza. E una volta raccontato, ha provato a portarlo oltre.
In questo, Jlin ci è riuscita molto bene, allontanandosi dalle radici più “street” del footwork per scolpirne una versione dove spazio, ritmo e texture si intrecciano in una danza ipnotica e aliena. La sua estetica ha riformulato le convenzioni del genere con precisione chirurgica, utilizzando poliritmi intricati e un sound design denso. Planet Mu, pubblicando album come Dark Energy (2015) e Black Origami (2017), ha amplificato questa voce unica, dimostrando la capacità del footwork di evolversi in un’arte – anche – concettuale, un percorso che ha portato il footwork ad entrare in una nuova “ondata”. (Ri)scoprirlo attraverso Planet Mu è un po’ come guardare un film al rallentatore, mentre c’è la scena di un’esplosione. Bo-oom!

Dark Energy by Jlin

Arrivati a questo punto mancava solo una cosa: feste footwork a Londra. E a questo ci pensò Kode9, mente dietro l’etichetta Hyperdub. Come racconta in una conferenza del 2010, tre anni prima dell’uscita dell’LP Double Cup di Rashad sull’etichetta, Kode9 aveva già chiaro il compito di Hyperdub, ossia trovare un suono che unisse i punti tra dubstep, grime, funky, hip-hop, house e reggae. Insieme, spinti probabilmente da visioni affini, Kode9 e Rashad hanno rimaneggiato i codici del footwork verso una direzione ancora diversa rispetto a quella di Planet Mu, fondendo il linguaggio frenetico del genere con il futurismo distopico del dubstep e della bass music britannica.
L’incontro tra i due ha quindi creato un terreno fertile per nuove sperimentazioni, con Kode9 che ha integrato elementi footwork nel suo stile – pensiamo a Black Sun – e Rashad che ha trovato nella scena britannica un ecosistema dove la sua musica poteva evolversi e mutare, rispetto ai primi banger realizzati appositamente per i ballerini.
Black Sun by Kode9

Gli artisti di Teklife – DJ e ballerini – come DJ Earl e DJ Taye, anche dopo la prematura scomparsa di DJ Rashad nel 2024, si sono infatti ispirati al progetto di Rashad per rendere più complesso il suono, introducendo ancora più elementi di jungle, jazz e hip-hop.
In questo specchietto, la menzione speciale va ad Addison Groove che ha stretto una forte amicizia con Rashad e Spinn e ha sviluppato un suono “UK-footwork”che ha saputo conquistare il rispetto degli OG di Chicago.

Lo scambio – sonoro, sociale – con il footwork in Europa, in particolare, si materializza nel momento in cui anche al di fuori di Londra e Chicago, si iniziò a raccogliere e a sperimentare con la stessa grana ritmica sfrenata e spigolosa che caratterizza le produzioni Teklife e degli altri pionieri del genere.
In questo senso anche altri artisti che hanno contribuito al catalogo di Hyperdub, come Fatima Al Qadiri, Jessy Lanza e Laurel Halo, pur non essendo direttamente legati al footwork, hanno adottato estetiche che attingono dalle stesse dinamiche ritmiche e sperimentazioni sonore.
Artisti come DJ Paypal, SHERELLE – e magari più saltuariamente – Machinedrum continuano a trarre ispirazione e a sviluppare questo suono sorprendente, nato nei sobborghi di Chicago due decenni fa. EQ Why è un ottimo esempio in quanto sebbene i suoi brani mantengano i tempi veloci e spezzettati e i campioni vocali aggressivi e talvolta sessualmente espliciti tipici del juke e del footwork, spesso incorpora breakbeat influenzati dalla jungle.

Radio Juke Vol.7 by EQ Why

Oggi giorno non sapremmo dire a quale “ondata” di artisti siamo arrivati, ormai ci siamo persi in quella marea di “post-tutto” e ci lasciamo cullare dalla fluidità tra i generi, senza dover per forza mettere dentro una scatola quello che ascoltiamo.
Dunque in questo “post-tutto”, Hi Tech, gruppo di giovanissimi da Detroit, trovano un grande spazio e anche una medaglia ad honorem per aver saputo davvero dare quell’inconfondibile taglio sonoro detroitiano a tracce molto più vicine a footwork e juke, dunque con sonorità fortemente Chicago-based. Ascoltarli dal vivo da amante delle sonorità detroitiane è davvero una goduria.

Non sappiamo a quale ondata, ma di certo sappiamo che siamo davanti ad una nuova era del footwork dove artisti creano le proprie versioni e questo lo amiamo. Chiamiamo all’appello IFS MA, duo di produttori polacchi IFS, che ha unito le forze con il rapper giapponese MA in REIFSMA, un album davvero distintivo e senza compromessi, uscito su outlines, una etichetta polacca che è partita nella sua ricerca proprio dal Chicago Footwork e punta a nuove forme, contorni e intuizioni.
REIFSMA by IFS MA

Recente di ottobre 2024, in questa lista dobbiamo inserire l’interessante la compilation For The Low (End Lovers) 2 uscita su Joog Music. Anche la Exit Records drum & bass label del leggendario D-Bridge, rilascia giusto un paio di anni fa Oh No EP di Itoa, in cui i nuovi suoni braindance tirati a lucido dal sound design made-in-uk fanno capolinea nelle sonorità juke e footwork. Anche Korea Town Acid si conquista il suo posto, con l’album In Motion, rilasciato a febbraio ’24, in cui rielabora il suo background in k-pop e hip hop in questo omaggio a footwork, electro e jungle.
Per chiudere il cerchio e riconnettere tutti i punti che abbiamo qui esplorato, BIG DOPE P rilascia TOTO LA CASTAGNE in cui non solo compare Traxman ma si coronano le influenze di hip-hop (in questo caso nei sottogeneri di drill e grime) con house, nelle sue declinazioni french e ghetto.

Una nuova golden-era è alle porte perché il footwork ha saputo espandersi pur mantenendo intatte le sue radici. Ha attraversato confini, ha trovato nuove arene, ma non ha mai perso la sua essenza. Non è solo musica. Non è solo danza.

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