Intervista a Enrico Ruggeri: “La caverna di Platone? La metafora perfetta per raccontare l’uomo di oggi”
Intervista a Enrico Ruggeri sul nuovo album “La caverna di Platone”: un’ode al libero pensiero e ai suoi iconici seguaci L'articolo Intervista a Enrico Ruggeri: “La caverna di Platone? La metafora perfetta per raccontare l’uomo di oggi” proviene da imusicfun.
Intervista a Enrico Ruggeri; il 17 gennaio esce in digitale, CD e doppio vinile “La caverna di Platone” (Sony Music), il nuovo album: un’ode al libero pensiero e ai suoi iconici seguaci come Pier Paolo Pasolini, una critica alla musica usa e getta che si nasconde dietro l’autotune (come scritto nel booklet tra i crediti del disco), una riflessione sulle guerre in corso, quelle sociali e quelle combattute con le armi, uno sguardo al passato e a chi lo ha segnato, nel bene e nel male.
Intervista a Enrico Ruggeri
Enrico Ruggeri, nuovo progetto, nuovo album: La Caverna di Platone. Già dal titolo si intuisce molto, nonostante l’eterogeneità dei brani. Ogni canzone racconta una storia.
La Caverna di Platone è un titolo che ho scelto subito, appena mi è venuto in mente. È la metafora perfetta per raccontare l’uomo di oggi: chiuso in una caverna, guarda la luce e pensa che sia la realtà, senza rendersi conto che è solo una proiezione. Le analogie con i tempi moderni sono moltissime.
Il disco arriva tre anni dopo La rivoluzione. Tre anni, nel mondo della musica, equivalgono quasi a un’era geologica. Come hai vissuto questo periodo?
Ho continuato a lavorare con calma e costanza. Nel mio studio registravo due brani alla volta, poi uno lo eliminavo, uno lo riascoltavo e magari lo riprendevo mesi dopo. È stato un processo continuo, fino a quando abbiamo deciso di concludere tutto, anche se avremmo potuto andare avanti ancora a lungo.
Ogni brano sembra essere un singolo a sé stante, in linea con l’approccio moderno della musica, ma tu hai scelto comunque di proporre un album. Perché questa scelta?
So che fare un disco, con una tracklist studiata e una copertina, è un po’ anacronistico oggi. Però mi sembrava la scelta giusta per questo progetto, per dare coerenza alle storie e ai temi affrontati.
Perché hai deciso di iniziare l’album con Gli eroi del cinema muto?
Mi piaceva aprire il disco con la parola “benvenuti”. È un brano meno impattante rispetto ad altri, ma perfetto per raccontare un mondo che cambia, che si evolve, nel bene e nel male.
C’è un omaggio a Milano in un brano del disco. La tua città emerge con tutte le sue contraddizioni e la sua poesia.
Sì, dove ci sono contraddizioni c’è anche poesia. Milano è tutto questo: grattacieli e persone che dormono sotto cartoni, grandi tensioni sociali e una vitalità unica. È una città viva, dove le cose accadono prima che altrove.
Il singolo La bambina di Gorla racconta un episodio drammatico della storia italiana, ormai dimenticato. Perché hai scelto di riportarlo alla luce?
È una storia che conosco da sempre: mia madre insegnava in quella scuola e, per puro caso, quel giorno non era lì. È una ferita aperta che mi accompagna dall’infanzia. Raccontarla è stato naturale, anche per rendere giustizia a un evento così tragico e ignorato.
Non hai mai avuto paura di affrontare temi così forti?
No, il ruolo di un musicista è anche quello di portare alla luce storie e tematiche importanti. Se una canzone nasce dall’ispirazione e ha valore, va pubblicata.
Un altro brano significativo è Das Ist Mir Würst, una riflessione sull’Europa. Qual è oggi la tua visione del nostro continente?
L’Europa era un sogno di fratellanza e cultura, ma oggi è tradito. Ci troviamo a vivere con regole cervellotiche imposte dall’alto, che spesso non rispecchiano i bisogni reali delle persone. Questo brano esprime proprio questa delusione.
Nel disco c’è anche una collaborazione con tuo figlio Pico Rama in Benvenuto chi passa da qui.
È un brano sereno, il più sorridente del disco. Dopo tante canzoni dense di significato, mi sembrava giusto concludere con un momento più leggero, di conciliazione con se stessi.
Infine, Cattiva compagnia è uno di quei brani che valgono da soli l’acquisto dell’intero disco.
È un pezzo che racchiude l’essenza del progetto e che credo possa lasciare il segno. Racconta un po’ la mia storia e il fatto che, diversamente da quello che si dice, sono nato incendiario e lo sono ancora di più oggi. Quindi sì, “liberatorio” è la parola giusta.
La copertina del disco è stata realizzata da Mauro Balletti e Giuseppe Spada. Quanto è importante per te oggi il legame tra la componente visiva e quella musicale nei tuoi progetti?
Molto, almeno per me. Anche se nel mondo di oggi è diventato meno rilevante, visto che l’album è ormai un file, un click. Però per me, l’album e la copertina sono un discorso artistico unitario.
Come speri che questo album venga accolto dal pubblico? Secondo te c’è una traccia che potrebbe lasciare il segno?
Non ho una traccia specifica in mente perché sento che il disco è così vario. Sono già contento di come lo stanno accogliendo coloro che ne devono parlare. Le aspettative oggi non sono quelle di venti o trent’anni fa. Ciò che conta è la credibilità, il continuare a costruire un ponte con chi ti segue. Per il resto, è tutto effimero.
I concerti di Milano e Roma saranno importanti tappe per te. Come si costruisce la scaletta dopo tanti anni di carriera?
È sempre difficile. Ho 13 pezzi “obbligatori” che devo fare, quindi se ne faccio 25, devo scegliere con attenzione gli altri 12. Magari inserisco qualche medley per includere più brani. È sicuramente il momento più complesso della tournée.
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