Sessant’anni fa, Walter Bonatti in canoa sullo Yukon
Tra maggio e giugno del 1965, poco dopo l’ultima impresa sul Cervino, l’alpinista lombardo si trasforma in un esploratore. Da solo, su una canoa, percorre 2500 chilometri tra il Canada e l’Alaska, tra grizzly, rapide e meravigliosi panorami L'articolo Sessant’anni fa, Walter Bonatti in canoa sullo Yukon proviene da Montagna.TV.

Nella primavera del 1965, un viaggiatore italiano naviga sulle acque dello Yukon su una canoa aperta (una Iroquois, come quelle tradizionali degli Indiani). Il fiume “serpeggia cupo tra tozze montagne, perlopiù rivestite da scure abetaie”. L’acqua è poca, e la chiglia striscia spesso sulla sabbia o sulla ghiaia del fondo. In più punti Walter Bonatti deve scendere, e disincagliare la canoa con una spinta.
Più a valle, uno “stretto gomito di acque ribollenti” richiede al viaggiatore di concentrarsi. Quando guarda verso la riva, scopre un grizzly che lo osserva, a non più di trenta metri di distanza. Per difendersi da un attacco, nella canoa, insieme alle macchine fotografiche, al cibo, al sacco a pelo e alla tenda, porta un fucile da caccia grossa che non ha la minima voglia di usare.
Ora, se il grizzly partisse alla carica, Bonatti non avrebbe il tempo di estrarre l’arma. Potrebbe allontanarsi, lasciandosi trasportare sulla canoa dalla corrente. Invece sbarca sulla riva opposta, si siede appoggiato a un albero e osserva.
“L’animale dondola il suo testone in su e in giù, fiutando fortemente l’aria nella mia direzione. Io resto lì, sempre immobile e silenzioso” annota l’alpinista diventato esploratore e reporter. “Adesso muove lentamente alcuni passi. Poi, quasi incurante della mia presenza, comincia un lavoro di scavo nella terra”.
Nello sguardo affascinato di Walter si imprimono le caratteristiche dell’orso. “E’ una fiera stupenda, possente e agile nella sua muscolatura”, “il lungo vello è di un bruno lucente e si arruffa ogni tanto, conferendo all’animale un maggior senso di forza”.
Poi l’agitazione se ne va. “Sentivo nascere dentro una calma quasi innaturale, che tuttavia mi procurava una inspiegabile, crescente fiducia. Era bello essere per la prima volta a tu per tu con un grizzly nella vasta foresta, e scoprire di non avere paura”.
L’addio all’alpinismo dopo la solitaria invernale sulla Nord del Cervino
Nato a Bergamo nel 1930, arrivato giovanissimo alle grandi pareti, Walter Bonatti è uno dei personaggi più noti dell’alpinismo. Dopo gli exploit giovanili sceglie di vivere a Courmayeur, ai piedi del Monte Bianco. Diventa guida alpina, apre uno dopo l’altro straordinari itinerari come la parete Est del Grand Capucin, il Pilastro Sud-ovest del Dru, il Pilastro Rosso del Brouillard e il Pilier d’Angle.
Arrampica con amici fidati, con i clienti, molto spesso da solo. Lo fanno maturare traumi come il terribile bivacco a 8000 metri sul K2 (1954) e la tragedia durante un tentativo di salire il Pilone Centrale del Freney (1961), dove quattro dei sette protagonisti perdono la vita.
Poi, all’inizio del 1965, Bonatti lascia l’alpinismo quando è all’apice della carriera e delle forze. Come palcoscenico per l’addio sceglie la ripidissima parete Nord del Cervino. Nel febbraio del 1965 completa da solo, in quattro giorni, la via nuova che qualche settimana prima aveva tentato in cordata con Alberto Tassotti e Gigi Panei.
Alle tre di pomeriggio del 22 febbraio, Bonatti sbuca dall’abisso della Nord e raggiunge i 4478 metri della cima, dove ritrova il tepore del sole. “Come ipnotizzato stendo le braccia alla Croce finché sento stretto al mio petto il suo corpo metallico. Allora mi si piegano le ginocchia e piango” scrive nel resoconto dell’ascensione.
Yukon, prima tappa di un viaggio di quindici anni nei luoghi più sperduti del mondo
A quel punto, però, Walter ha già scelto una strada diversa. Per il settimanale Epoca, che gli ha offerto un contratto da inviato speciale, si dedicherà per quindici anni a viaggiare nei luoghi più selvaggi del mondo. E’ un meraviglioso tour che lo porta nella tundra della Siberia e nelle savane della Tanzania, all’Isola di Pasqua e a Capo Horn, nelle foreste dell’Orinoco e in Antartide.
Spesso, oltre che della natura, Bonatti va in cerca delle tracce di scrittori e viaggiatori del passato. Nelle isole del Pacifico segue le parole di Hermann Melville. Sulle acque dello Yukon, nella terra dei cercatori d’oro, lo ispirano le opere di Jack London, da Il richiamo della foresta a Zanna bianca.
All’inizio di maggio del 1965, due mesi e mezzo dopo l’avventura sul Cervino, Walter Bonatti atterra a Whitehorse, capoluogo della provincia canadese dello Yukon. Nell’ultima parte del volo, osserva dal finestrino “un selvaggio paese di montagne nevose”, nel quale si vedono “ribollire fiumi impetuosi”.
Qualche giorno più tardi Bonatti è a Skagway, nel lembo più meridionale dell’Alaska. Vuole seguire a piedi il Chilkoot Trail, il sentiero di una cinquantina di chilometri che durante la corsa all’oro del Klondike (1896-1899) era percorsa da centinaia di aspiranti cercatori ogni giorno. Oggi il Trail è un trekking famoso, a numero chiuso, e che molti appassionati seguono di corsa. Quando arriva Bonatti i cercatori d’oro sono scomparsi da tempo, ma i trekker moderni non ci sono ancora. A maggio, il percorso è ancora abbondantemente innevato.
Con una guida locale, l’indiano Joe di cui non ci è stato tramandato il cognome, l’alpinista lombardo sale nella neve profonda al Chilkoot Pass, poi scende in territorio canadese. E’ un viaggio faticoso, tra sole e bufere di neve, dove i due sprofondano fino alle ginocchia nonostante le racchette. A impressionare sono soprattutto le impronte dei grizzly, spesso freschissime.
L’alpinista esploratore fa conoscenza con la forza del grande fiume
Dopo qualche giorno di riposo, Walter Bonatti riparte da solo, per navigare in canoa sullo Yukon. Il fiume, che attraversa un territorio vasto come l’Italia, scende dai monti della British Columbia canadese, e prosegue in Alaska fino al Mare di Bering. La lunghezza totale è di 3200 chilometri, il viaggio di Bonatti (inclusa la deviazione sul Porcupine) ne misurerà 2500.
Dopo una sosta a Dawson, la “capitale” dei cercatori d’oro del Klondike diventata un piccolo paese sonnolento, Walter riparte in canoa da Whitehorse. E’ un viaggio per lunghi tratti facile, ma che si complica alle Five Finger Rapids, dove lo Yukon si divide in cinque rami separati da “roccioni che si direbbero scagliati là da un Polifemo del Nord”. Qui Walter deve ricorrere al portage, portando a spalle, in più viaggi, il bagaglio nella foresta fino a valle delle rapide. Poi, con la canoa scarica, si lancia nelle acque ribollenti. Teme di essere risucchiato, poi di schiantarsi contro “un autentico muro d’acqua”. All’improvviso la corrente si placa, e la canoa raggiunge la sponda sabbiosa e il bagaglio.
In altri momenti, creano difficoltà le onde alzate dal vento, o le raffiche di grandine e pioggia dei temporali. Dopo il primo incontro, altri grizzly si lasciano fotografare senza problemi. Le alci abbondano, una lince e un lupo compaiono a pochi metri dalla tenda. Oltre Fort Yukon, sul Circolo Polare Artico, il fiume diventa pianeggiante, e zigzaga tra laghi e acquitrini. Ma Walter preferisce un finale avventuroso.
Si fa portare da un idrovolante, con la sua canoa, al villaggio di Old Crow, popolato da indiani Athapaskan, di nuovo in Canada. Il 28 giugno, dopo qualche giorno per godere dell’ospitalità dei locali, riparte sul fiume Porcupine, ricco di fauna e dalle acque placide. Quando torna allo Yukon lo trova in piena, ma riesce comunque a proseguire.
Alla confluenza con il Tamana il viaggio di Walter Bonatti si conclude. Prima di ripartire con l’idrovolante del servizio postale, riesce a spiegare a gesti a dei pescatori indiani che il suo viaggio è iniziato da Whitehorse. Gli Athapaskan, quando capiscono, sorridono e gli portano del tè.
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