Quindi Hawtin faceva meglio a stare zitto? (Spoiler: no)

Fa sempre piacere quando amici ed addetti al settore ti inoltrano delle cose chiedendo una tua opinione e facendo intendere, più o meno esplicitamente, “Di questo dovresti proprio scriverne”: segno che il tuo lavoro è stimato e riconosciuto o, comunque, ritenuto rilevante, tu non puoi che esserne felice. Questa chiosa iniziale non per vanagloria e… The post Quindi Hawtin faceva meglio a stare zitto? (Spoiler: no) appeared first on Soundwall.

Jun 4, 2025 - 17:05
 0
Quindi Hawtin faceva meglio a stare zitto? (Spoiler: no)

Fa sempre piacere quando amici ed addetti al settore ti inoltrano delle cose chiedendo una tua opinione e facendo intendere, più o meno esplicitamente, “Di questo dovresti proprio scriverne”: segno che il tuo lavoro è stimato e riconosciuto o, comunque, ritenuto rilevante, tu non puoi che esserne felice. Questa chiosa iniziale non per vanagloria e per gongolare, ma per fornire un minimo di contesto: l’uscita di Richie Hawtin dai suoi canali social ha catturato veramente tantissima attenzione e in tanti, tantissimi hanno inoltrato al sottoscritto il suo video. Ovvero, questo:

In sintesi: Hawtin dice che è ben al correte di tutta la polemica su Superstruct, KKR e Sónar e lui, che al Sónar è in cartellone (e a cui sta rifilando la mezza sóla di presentarsi in dj set e non col live di Plastikman, perché quest’ultimo non è stato in grado di prepararlo a modo), sintetizza che quest’anno a questo e ad altri eventi targati Superstruct ci sarà, per mantenere gli impegni presi e perché stima le persone che stanno dietro a questi impegni, l’anno prossimo però ci penserà, perché in realtà condivide completamente la condanna su ciò che sta succedendo in Palestina e la necessità di far sentire la propria voce sull’argomento e, per quanto possibile, togliere fondi che poi vengono usati per armare l’esercito israeliano e/o le sue politiche sterminatrici (usiamo “sterminatrici” al posto di “genocide”, lo facciamo con una punta di amaro, amrissimo sarcasmo). Ammonisce pensoso Hawtin: “Quest’anno va così, ma l’anno prossimo pondererò attentamente le mie scelte” e anzi, allarga ancora di più il discorso, dicendo quanto l’ingresso dei grandi capitali finanziari nella scena abbia rovinato la scena medesima e il suo spirito, anche se in tanti si sono arricchiti (onestamente Hawtin sottolinea: “Sì, pure io ho guadagnato dei gran soldi”).

Ci ha molto impressionato una cosa.

Ovvero: quasi tutte le segnalazioni che ci sono arrivate, aggiungevano delle osservazioni piuttosto critiche su questo messaggio di Hawtin. Ovvero: che il suo è opportunismo, che sono lacrime di coccodrillo, che lui è storicamente uno che predica bene ma poi razzola male, che oggi dice così ma fra un anno nessuno si ricorderà di controllare che alle parole siano seguiti davvero i fatti ovvero che lui abbia deciso di cambiare radicalmente le sue politiche di booking, privilegiando gli eventi non a trazione mega-corportation ma quelli più autentici, puri ed appassionati.

Non stiamo cercando giustizia, non è quello che in realtà ci interessa… No: stiamo cercando capri espiatori

Ora, può essere tutto vero, tutte queste critiche potrebbero essere giustificate. Può assolutamente essere. La discussione è aperta. Ma abbiamo come l’impressione che si stia di nuovo attivando il meccanismo psicologico sbagliato: non stiamo cercando giustizia, non è quello che in realtà ci interessa… No: stiamo cercando capri espiatori. E Hawtin vedi un po’ è un perfetto capro espiatorio, sì che lo è: perché ora fa grandi dichiarazioni di principio, eccallà, ma negli anni è stato uno dei primi protagonisti dell’impazzimento del mercato, dei set che diventano improvvisamente costosi il decuplo, della costruzione dell’immaginario-da-star attorno al dj, dell’aver trasformato la techno da linguaggio d’avanguardia e controcultura a gigantesca macchina da soldi e da spettacolo, oltre ad essere in origine un white kid che ha fottuto la vera techno ai pionieri neri, facendoci i soldi veri lui, e non i pionieri in questione. Quindi caro Hawtin, no, non ci casco: il tuo pentimento è tardivo e fuori luogo, e tra l’altro è pure parziale, perché nel tuo messaggio comunque confermi tutte le tue date – e i tuoi incassi, quindi – di quest’anno, rimandando tutto alle calende greche, pardon, all’anno prossimo, gran paraculata, perché poi l’anno prossimo tanto farai finta di non aver detto nulla.

Mah.

Di nuovo: tutto questo può anche essere vero. Ma ci sembra un perfetto modo per non vedere il bicchiere mezzo pieno: ovvero che al contrario della stragrande maggioranza dei suoi colleghi dello stesso livello (quelli insomma molto famosi e molto retribuiti), lui almeno è entrato nel tema e ci ha messo la faccia. E quindi cosa succede? Ce la prendiamo più con lui che con quelli che fanno gli struzzi, e contano felici fatturati, stupefacenze, escort, jet privati e belle vite, fottendosene di quello che succede di orribile in giro per il mondo e della necessità di ricordare che non sta tutto delle sciabolate nei privé? Al di là del fatto che Hawtin sia sincero o meno – e la verità la può sapere solo lui, di sicuro non noi che vediamo un reel su IG e pensiamo di conoscere così gli abissi della sua (non) sincerità – il suo video almeno ha portato una serie di temi molto importanti al centro della discussione. Temi a cui, in teoria, dovremmo essere tutti interessati: la deriva “di mercato” che ha preso il clubbing, il fatto che la presenza dei grandi fondi d’investimento ormai sia pervasiva, dove e in che modo si reinvestono i profitti, la difficoltà di far combaciare scelte di principio radicali con amicizie e rapporti consolidati negli anni – una difficoltà umana prima ancora che professionale, e l’etica è quel campo incandescente dove entrano in gioco sia l’umano che il professionale, spesso in modo doloroso da conciliare.

Ha messo in campo tutto ciò. Questo merito gli andrebbe riconosciuto. E questo al di là se sia sincero o meno.

Perché inizia un po’ stucchevole questa corsa al radicalismo ed alla purezza fatta senza rischiare nulla di proprio, e risultando anzi molto più esigenti  ed ostili con chi mostra almeno un minimo di interesse alle questioni “sensibili” lasciando invece completamente in pace chi pensa ai comodi suoi e se ne fotte. Non è che c’è dello strabismo morale, dietro questo modus operandi? Non è che c’è un doppio standard? Non è che c’è più voglia di indignarsi piuttosto che di autentica giustizia?

Perché soprattutto il Sónar è finito nell’occhio del ciclone, anche da parte degli artisti e di tutti i loro accorati appelli, e non invece altri eventi molto più commerciali sempre sotto il cappello Superstruct?

E ancora, proseguendo con le domande: perché soprattutto il Sónar è finito nell’occhio del ciclone, anche da parte degli artisti e di tutti i loro accorati appelli, e non invece altri eventi molto più commerciali sempre sotto il cappello Superstruct? Ve lo diciamo noi: perché il Sónar ha il “torto” di non aver mai pensato di essere sempre e solo una macchina da soldi che se ne fotte il cazzo e pensa all’incasso, ma fin dalla sua concezione ha sempre puntato molto sul concetto di (contro)cultura, di visione alternativa. E forse è questa la cosa che (inconsciamente) non gli perdoniamo: vogliamo infatti dimostrare che noi siamo migliori di lui, che alla “cultura” ci teniamo noi più di lui, che all’”underground” ci teniamo noi più di lui, che per le “cause giuste” noi siamo molto più integri e battaglieri di lui.

Abbiamo visto tantissime persone italiane contestare in queste settimane il Sónar, e chiederne il boicottaggio (e sia chiaro: il Sónar ci ha messo del suo, con delle prese di posizione vuote e ridicole, come abbiamo scritto esplicitamente), ma non abbiamo sentito mezza parola in tal senso per quanto riguarda Elrow, che tra l’altro è stato in Italia proprio di recente col suo riuscitissimo evento in forma XXL a Reggio Emilia e lì, guarda un po’, improvvisamente della questione Supestruct/KKR non fregava niente a nessuno, non era un tema. Ma non vi pare strana questa cosa? Non vi pare, in qualche modo, “asimmetrica”?

Detto ciò, e tenendo bene a mente ciò, torniamo a Hawtin. Prendere il suo video messaggio e concentrarsi solo sul fatto se lui sia coerente o meno, se sia sincero o meno, se stia chiagnendo e fottendo o se invece ci creda davvero, ci pare un ossessivo concentrarsi sul dito invece che sulla luna. Quanto Hawtin sia sincero o meno è un problema relativo; molto più sostanziali sono i temi che solleva, e il fatto che a sollevarli sia uno che comunque avrebbe qualcosa da perderci, da un resizing del sistema industriale intorno all’intrattenimento a base di musica elettronica.

Iniziamo infatti ad essere un po’ stufi di sentire inviti feroci al radicalismo da parte di persone che, nel farlo, non hanno nulla da perderci. Perché ci sono persone che si spendono davvero, per la causa palestinese: fanno raccolte fondi, organizzano operazioni, usano la propria visibilità grande o piccola che sia rischiando di raccogliere antipatie e perdere consensi nel loro contesto di lavoro, sono pronti in qualche caso a fare grandi rinunce che intaccano concretamente il loro stile di vita e il loro conto in banca. Ma ci sono anche quelli che pensano basti mostrarsi radicali commentando sui social puntando il dito contro gli altri, per migliorare il mondo. Non è così. Puoi puntare il dito contro Hawtin se hai fatto qualcosa di davvero concreto, che sia a favore della Striscia di Gaza o della eccessiva deriva turbo-capitalista della club culture; qualcosa di tangibile, qualcosa che ti ha portato via tempo, soldi e rapporti utili. Allora sì, allora hai tutto il diritto di farlo.

Ma se davvero quello che ti sta a cuore sono certe cause e non un tuo self branding a costo zero, allora dovresti essere nient’altro che contento che qualcuno in vista abbia sollevato temi di un certo tipo. Si è schierato a metà, il dj/producer canadese? Vero. C’è la possibilità che sia solo opportunismo? Certo. Ma la tua priorità – e sottolineiamo: priorità – dovrebbero essere gli argomenti e le idee in sé, non lo sputtanare una persona e “scoprire” se è ipocrita. Perché poniamo anche che quella di Hawtin sia solo furberia e paraculaggine, poniamolo pure: la battaglia di creare un eco-sistema di opinione critica attorno alla deriva turbo-capitalista del clubbing resta, oh se resta, e la puoi portare avanti tu, oppure in alternativa puoi supportare in modo concreto chi la porta avanti da tempo e sinceramente, con costanza, con impegno, con fatica. E più attenzione raccogli attorno a queste istanze, meglio dovrebbe essere, no? In questo senso, un’uscita come quella di Hawtin dovrebbe farti comodo a prescindere, perché mette “sulla mappa” una serie di questioni che altri dj nella sua posizione si guardano bene dal porre, quindi lui è un alleato, gli altri no.

Invece, abbiamo come l’impressione che, davvero, il focus stia più sul fatto che Richie Hawtin sia sincero o meno, sia opportunista o meno, che sull’effettiva rilevanza strategica ed ideale dei concetti che mette in circolo.  

È un modo di guardare alle cose parecchio velenoso, questo, ed è una tossicità che ci è stata iniettata dalla spinta alla polarizzazione operata dai social (…perché si sa, non c’è nulla di più engaging dei social di un litigio polarizzato, e nulla di più noioso di un ragionamento che invece ammette, chiama e considera le sfumature, i “what if”).

Riassumendo in una riga: Richie Hawtin faceva meglio a stare zitto? Risposta nostra: no, col cazzo, ma meno male che ha pubblicato quel video. Sincero o meno, meglio quello che il silenzio “furbo” di tantissimi suoi colleghi. E visto che il senso di questo editoriale è far capire che è meglio concentrarsi sui fatti concreti che sull’indignazione, un esempio davvero virtuoso su come comportarsi in questa questione legata agli intrecci tra KKR e le violenze del Governo di Netanyahu e del blocco sociale che lo sostiene contro la Striscia è quello di Dixon. Vi è capitato davanti? Ci avete riflettuto? Dovrebbero tutti imparare da lui, anche se nella fattispecie di mezzo non c’è il Sónar ma il Field Day, che comunque è sempre farina del sacco Supestruct:

Detto ciò, e sottolineato ciò, un promemoria per tutti quanti: ricordiamoci di analizzare dove andrà a suonare Richie Hawtin nel 2026, vediamo se sarà all’altezza delle sue parole pronunciate ieri e diffuse via social.

Ma prima di questo, ci sono altre battaglie più importanti su cui impegnarsi, su cui indignarsi, su cui mettere la propria rabbia e sete di giustizia.

The post Quindi Hawtin faceva meglio a stare zitto? (Spoiler: no) appeared first on Soundwall.