ChatGPT, app, tracce GPX. Il sentiero della sicurezza non passa solo da quelle parti. Anzi

La tecnologia aiuta. Spesso, ma non sempre. Affidarsi ciecamente agli strumenti significa rinunciare a migliorare il nostro bagaglio di esperienze. E, di conseguenza, ci rende più vulnerabili L'articolo ChatGPT, app, tracce GPX. Il sentiero della sicurezza non passa solo da quelle parti. Anzi proviene da Montagna.TV.

Jun 5, 2025 - 10:10
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ChatGPT, app, tracce GPX. Il sentiero della sicurezza non passa solo da quelle parti. Anzi

La notizia di due escursionisti canadesi salvati per miracolo dopo aver pianificato la loro escursione con ChatGPT ci offre l’occasione per tornare a una questione che troppo spesso viene elusa: cosa significa davvero “prepararsi” per andare in montagna?

Non si tratta solo di scegliere la traccia giusta, studiare il meteo o portare con sé dispositivi tecnologici performanti. No, prepararsi davvero significa allenare l’esperienza. Ma l’esperienza non è trasmissibile come una traccia GPX o un file con i “10 consigli dell’esperto”. È un processo personale, lento, incerto. Non si scarica da internet, si costruisce, passo dopo passo, su sentieri veri.

La rete pullula di informazioni, report, video, tracce, app interattive con recensioni, foto aggiornate sullo stato dei percorsi, piani di allenamento condivisi. Tutto bello, tutto utile. Ma quest’indigestione di dati rischia spesso di sottrarci tempo ed energia preziosi: quelli necessari per allenare la nostra attenzione, per mettere davvero un piede davanti all’altro, per sentire e sentirsi lungo il cammino. Non si tratta di rinnegare l’utilità di questi strumenti, ma di selezionarli con criterio. Bastano pochi elementi essenziali d’orientamento. Poi, spazio alla nostra capacità di percezione. E, soprattutto, impariamo a cestinare i pareri altrui, troppo spesso soggettivi, non verificati, non validati da nessuno.

Ognuno di noi si muove in un universo sensoriale unico, plasmato dalla propria storia, dall’educazione ricevuta, da ciò che ha scelto di osservare o di ignorare. L’esperienza, quella vera, è una facoltà che si allena nella relazione con l’ambiente: un rapporto fatto di ascolto, di attenzione, di errori, di correzioni. Una relazione viva, non mediata da schermi, in cui il rischio – l’elemento che tutti cercano di eliminare – diventa in realtà l’occasione per coltivare consapevolezza e responsabilità.

L’assunzione di responsabilità è il solo antidoto all’ignoranza assistita, quella che cresce a ogni uscita programmata da algoritmi, quella che fa dimenticare dove siamo davvero. Prepararsi ad essere impreparati potrebbe essere il motto più onesto per chi voglia davvero intraprendere un percorso formativo in montagna. Un allenamento dove ci si espone con misura, sotto uno sguardo vigile, a esperienze autentiche, non confezionate, un modo per ritrovare il proprio passo, il proprio modo di andare in montagna.

Perché alla fine, non è questione di cima, di dislivello, di gradi o di tempo sul cronometro. È questione di senso. Di restituire senso a ogni passo, di abitare il qui e ora, di allenarsi a percepire le mille sfumature che spesso sfuggono quando siamo ossessivamente protesi verso l’alto, col fiato corto e il capo chino.

La tecnologia potrà anche suggerire mete e consigli, ma non sa leggere il vento, non percepisce la stanchezza di un compagno, non sente l’odore della pioggia in arrivo. Non conosce la nostra fragilità. E allora l’obiettivo non sarà più la meta programmata, ma la qualità dell’esperienza vissuta, non l’efficienza della prestazione, ma la pienezza della presenza.

Così, forse, potremo riappropriarci della nostra capacità di decisione, imparando a farci domande più che cercare risposte automatiche. E se sbaglieremo, non sarà un fallimento, ma solo un’occasione in più per capire qualcosa. Di noi stessi, e del mondo che attraversiamo.

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