Murderbot è lo specchio nero del capitalismo cognitivo
Di recente la tv pubblica svedese ha trasmesso un programma condotto da uno psichiatra di Stoccolma, durante il quale viene approfondito il ruolo e l’utilizzo dell’AI nella società e nella vita quotidiana. Dalla medicina all’arte, dalle automobili alle relazioni: nulla riesce più a sfuggire all’influenza e al controllo di questa creazione artificiale nata da idee… Leggi di più »Murderbot è lo specchio nero del capitalismo cognitivo The post Murderbot è lo specchio nero del capitalismo cognitivo appeared first on Hall of Series.

Di recente la tv pubblica svedese ha trasmesso un programma condotto da uno psichiatra di Stoccolma, durante il quale viene approfondito il ruolo e l’utilizzo dell’AI nella società e nella vita quotidiana. Dalla medicina all’arte, dalle automobili alle relazioni: nulla riesce più a sfuggire all’influenza e al controllo di questa creazione artificiale nata da idee del tutto umane. Un paradosso che è stato ripreso con originalità e una punta d’ironia da un altro svedese, Alexander Skarsgård, attore e produttore della serie Murderbot disponibile settimanalmente su Apple TV+. L’artista, fratello maggiore di quella fucina di talenti che è la famiglia Skarsgård, interpreta un’unità di sicurezza androide (SecUnit) alle prese con un evento che ha cambiato (nel bene? nel male?) la sua esistenza. Hackerando il proprio modulo di controllo, infatti, Murderbot ha acquisito il libero arbitrio.
Ora, la questione sulla possibilità e il diritto di scelta è un argomento vecchio come il mondo. Tuttavia, quando ad averli tra le mani è un robot costruito al solo scopo di eseguire degli ordini, la riflessione sulle conseguenze di questo atto è d’obbligo. Con quegli occhi blu spalancati in segno di meraviglia, stupore ma anche confusione e paura, il protagonista esprime un’opportunità alla quale l’essere umano non è preparato. Infatti se il cyborg imparasse a provare empatia ed emozioni, potrebbe pure andarci bene. Cosa fare, invece, se l’automa decidesse di dominarci e – perché no – sterminarci tutti schiacciando un semplice bottone installato sul suo braccio metallico?
Nel corso dei primi quattro episodi della serie questi interrogativi rimbalzano da un punto all’altro dei nostri pensieri. In particolare nelle riprese in cui viene mostrata la capacità di Murderbot di osservare e controllare di nascosto le azioni, le conversazioni e persino gli attimi d’intimità tra i membri del gruppo di personaggi che ha il compito di proteggere. Come spettatori percepiamo che il destino di quegli umani (“idioti e incomprensibili” dal punto di vista del protagonista, ma possiamo veramente dargli torto?) è tutto nelle decisioni dell’androide. Con quale criterio, però, un non-umano definisce le proprie volontà? Come può prediligere l’etica quando non sa nemmeno cosa sia?
Dietro a quegli occhi blu c’è una “mente” strutturata appositamente per raggiungere un solo obiettivo. Quello di spiare le nostre vite, i nostri interessi e i nostri limiti, per poi catalogarli e trasformali in banche dati di informazioni vendibili al miglior offerente. Una specie di magazzino virtuale in cui vengono stipati affetti, dettagli e rapporti personali. Siamo esseri alla continua ricerca di appagamento e poco importa se la soddisfazione degenera in dipendenza, illegalità o sterile esistenza fondata sul possesso.
Il capitalismo materialista e tangibile di cui scriveva lucidamente Karl Marx assume in questo modo i toni invisibili dell’astrattismo. Oltre ai beni materiali oggettivi, nella società contemporanea si acquistano e si vendono nozioni, piaceri, voglie, necessità non necessarie. Tutti concetti che non possiamo né vedere né toccare e che per questa ragione percepiamo come meno insidiosi. È davvero così?
Guardando i comportamenti di Murderbot verrebbe da dire: “Ok, se la vera natura di un robot è questa, non dobbiamo preoccuparci troppo. In fondo è solo una creatura che assimila informazioni ma che soprattutto vuole essere lasciata in pace per fare maratone di serie tv”. Un po’ come noi, quindi. L’automa ci appare più umano di quel che dovrebbe, ma perché giudicare la realtà sempre e solo da un punto di vista antropocentrico? La nostra angoscia principale è rappresentata dal fatto che l’intelligenza artificiale potrebbe diventare senziente come noi o addirittura superarci in abilità e competenze. Ma chi siamo noi? Cosa significa noi?
Siamo indubbiamente materia organica costituita da un insieme di atomi, per dirla come la direbbe Democrito. Allora anche un androide è materia, così come lo è un animale, una pianta o un sasso. Siamo contenitori di emozioni, certamente. E non lo sono forse anche un gatto quando fa le fusa o un cane quando scodinzola felice? Se con l’avvento della tecnologia il Postumanesimo ha preso il posto dell’Umanesimo, che senso ha considerarci ancora come un’unità di misura universale? Anzi, come l’unità di misura universale, con tanto di articolo determinativo?
La risposta, a mio avviso, arriva forte e chiara con la seconda puntata dello show intitolata “Contatto visivo”. Trenta minuti di pura tenerezza in cui a Murderbot viene ordinato di guardare negli occhi – nel senso più fisico del termine – uno dei membri del gruppo di umani, Gurathin. La bravura di Alexander Skarsgård raggiunge il suo apice qui, nell’istante di esitazione e di timore che precede il movimento del suo sguardo in direzione del volto del suo “padrone”. Mentre seguivo la scena e i dialoghi tra i due personaggi, il pensiero che Murderbot fosse qualcosa di più di una semplice macchina automatica no anima (come cantavano i CSI) divenne una certezza.
Questa sequenza inoltre sembra riassumere poeticamente ed efficacemente le teorie di un’altra filosofa, questa volta contemporanea: l’italiana Rosi Braidotti. La professoressa emerita dell’Università di Utrecht sostiene una visione prettamente ottimistica in merito alla svolta postumana, poiché interpreta la caduta dell’antropocentrismo come una opportunità di riflessione su chi e cosa vogliamo divenire. L’introduzione di nuove forme di coscienza e conoscenza permette una maggiore complessità e pluralità di esistenze trasversali. Possiamo dire addio al dualismo banalizzante e gerarchizzante (umano – non umano, maschio – femmina, occidentali – orientali, per fare alcuni esempi) e accogliere un’idea che in Murderbot sembra essere persino lungimirante.
Sappiamo che il protagonista è un prodotto tecnologico. Sappiamo che potrebbe fare del male a qualcuno ma sappiamo anche che, incastrata da qualche parte in quelle protesi di freddo metallo, potrebbe nascere la scintilla di un’anima. Non è forse quest’ultima a fare la differenza nella distinzione tra materia e vita? Tra un oggetto e un essere vivente? È il soffio vitale ad autodeterminare il valore di qualcuno, a identificare quel noi di cui ci siamo dimenticati. Se quindi l’AI imparasse a provare dei sentimenti? Murderbot ci aiuta cinicamente a tornare coi piedi per terra. A considerare il punto di vista di un altro esterno a noi stessi, un robot, che guardandoci prova persino ribrezzo. Il nostro cervello entra in cortocircuito perché a quel punto non capiamo più chi sia davvero l’essere più acuto e intelligente. Noi, lui o altre forme di vita a noi sconosciute?
Secondo Biadrotti, dunque, questo è il momento storico perfetto per ripensarci come specie, per metterci in discussione e per prenderci le responsabilità dei danni che abbiamo causato al nostro pianeta, oltre che a noi stessi. Infatti a fare da sfondo alle vicende dei personaggi della serie c’è la presenza costante e intrusiva di una grande compagnia assicurativa interplanetaria. Essa è la vera antagonista di Murderbot perché è l’unica che usa a proprio piacimento persone e robot come mezzi intercambiabili di uno spregiudicato mercato del profitto.
Quel noi tanto caro alla filosofa deve quindi diventare collettività, attraverso l’abbandono dell’individualismo derivato dal capitalismo e dall’Uomo considerato come Unità di Produzione (per citare ancora una volta i CSI). Bisogna ragionare in diverse direzioni, accettare il cambiamento scientifico dato dalle nuove invenzioni (che ci sono sempre state nella storia dell’umanità) e rifiutare invece la tecnocrazia e la tecnopolitica asservite alle lobby finanziarie. Altrimenti siamo destinati a diventare pseudo-automi esattamente come le intelligenze virtuali che tanto temiamo. Forse lo siamo già.
Mentre stiamo scrivendo, la serie di Apple TV+ che è un po’ comedy, un po’ sci-fi, un po’ dramma è ancora in corso, pertanto non sappiamo come si evolverà la trama. Possiamo immaginare che gli occhi blu del protagonista si faranno via via sempre più empatici, così come il suo temperamento. Possiamo ipotizzare che qualcuno, prima o poi, scoprirà il suo “risveglio” e che proverà a punirlo per questo. Siamo però convinti che la riflessione sul noi prenderà la forma di un ribaltamento di ruoli tra uomo e macchina. Un’occasione da cogliere al volo per guardarci allo specchio, ripulirlo dallo strato nero e frammentato che ricopre la sua superficie e ritornare a vedere la nostra immagine. Quella reale, integra, priva di deformazioni, avidità, pregiudizi. Un’immagine vergine, che ha il volto di Murderbot e la mente aperta di chi ha ancora tanto da scoprire, affrontare e imparare.
Vi lasciamo con le 9 Serie Tv Sci-fi degli ultimi dieci anni che sono visivamente ed esteticamente sublimi.
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