Aleister Crowley, l’occultista alpinista che nel 1902 sfidò il K2

La “Bestia” inglese, prima di avvicinarsi al misticismo, aveva tutte le carte in regola per sfondare nel verticale: dal sesto grado nel Sussex ai progetti visionari in Karakorun e Himalaya L'articolo Aleister Crowley, l’occultista alpinista che nel 1902 sfidò il K2 proviene da Montagna.TV.

Jun 6, 2025 - 21:10
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Aleister Crowley, l’occultista alpinista che nel 1902 sfidò il K2

Poeta, saggista, pittore e filosofo, accusato di pazzia ma indicato come precursore dei movimenti hippie e indiscusso idolo del rock. Dopo che ebbe promosso un credo magico costruito su misura – Thelema – e rivelatogli, a suo dire, dal proprio angelo custode – un essere di nome Aiwass, messaggero a sua volta del dio egizio Horus –, risulta davvero estremamente facile considerare Aleister Crowley come uno dei personaggi più enigmatici e sconvolgenti del XX secolo, tanto che i giornali dell’epoca lo definirono “l’uomo più perverso del mondo”. Egotico alla pari del nostro D’Annunzio ma decisamente meno mansueto – il che è già tutto dire – l’esoterista britannico non si è limitato tuttavia a diventare uno degli occultisti più famosi di tutti i tempi. L’appagamento che Crowley traeva infatti da una vita di costante sperimentazione contribuì ben presto a renderlo anche un ardito scalatore ed alpinista, carriera parallela di cui pochi sanno, ma che merita di venire approfondita.

Crowley si avvicinò all’arrampicata nel 1892, ben prima di interessarsi di occultismo e misticismo. Galeotto fu un incontro del tutto casuale con Joseph Lister, chirurgo britannico poi inventore e propugnatore dell’antisepsi e all’epoca arrampicatore dilettante di un certo livello. In quegli anni, Crowley era in procinto di iscriversi al Trinity College per studiare dapprima filosofia ed in seguito letteratura inglese. Sedicenne già burrascoso, fu trascinato dalla madre Emily in una lunga vacanza all’isola di Skye, in Scozia, nella speranza che l’ambiente montano riuscisse a smussarne gli scatti di rabbia più iracondi. Ma invece di starsene tranquillamente seduto in mezzo alla natura con sua madre, Crowley attirò ben presto l’attenzione di un gruppo di scalatori che alloggiavano in un ostello vicino, capitanati proprio da Lister. Fu Joseph ad incoraggiare l’interesse di Aleister alla disciplina, coinvolgendolo nella traversata della lunghissima ed esposta Cresta del Cuillin. Fu una giornata esaltante, che convinse Crowley ad appassionarsi al mondo della roccia, approcciato fin da subito con talentuosa maestria, tanto da diventare ben presto uno scalatore di notevole abilità e – complice il proprio carattere già piuttosto arrogante – concentrandosi su salite che oggi verrebbero considerate autentici free solo. L’anno seguente, a Beachy Head, nell’East Sussex inglese, Crowley aprì infatti su una falesia calcarea di 150 metri, sempre da solo, diverse vie di svariate difficoltà. Ma è interessante notare come, mentre in Dolomiti il sesto grado sarebbe comparso grazie ad Emil Solleder soltanto nel 1925, l’itinerario più difficile aperto da Crowley su quelle pareti sia oggi classificato come 5.10 nella scala americana: l’equivalente, per l’appunto, del nostro VI. Entrò a far parte dello Scottish Mountaineering Club nel 1894 e fu molto attivo nel Lake District, completando, fra le altre salite, la notevole solitaria del Napes Needle. L’anno dopo, non pago dei propri exploit in patria, Crowley fece la sua prima apparizione nelle Alpi, effettuando rapide ascensioni di cime classiche come l’Eiger, il Mönch e la Jungfrau, oltre ad aggiudicarsi alcune prime ascensioni di vette minori. Un’eredità cospicua gli permise di esplorare l’Europa in grande libertà, sfruttando le lunghe vacanze estive che l’università gli concedeva. Non di meno, i suoi soggiorni all’estero accrebbero la reputazione di Crowley nella comunità alpinistica britannica, anche se fu cacciato dall’Apine Club per i continui scherni ai quali sottoponeva i suoi compagni.

Crowley scrisse anche la prima guida al mondo per il bouldering, datata 1898 e inserita nel libro dei visitatori del Wasdale Head Inn – locanda configuratasi come una sorta di culla per l’arrampicata britannica del periodo – con le illustrazioni di L. A. Legros. La guida trattava oltre una dozzina di singoli problemi sui tuttora famosi blocchi di Wasdale, oltre a specificare una serie di passaggi da evitare (“non si possono usare gli spigoli”, “non si può usare la placca come appiglio” ed altre raccomandazioni di questo genere).

Aleister Crowley (secondo da sinistra) con i compagni durante la spedizione al K2 nel 1902 @ Picture Post-Hulton Archive-Getty Images)

Il sodalizio con Oskar Eckenstein, altro genio maledetto

Sempre nel 1898 – anno in cui entrò ufficialmente a far parte dell’Hermetic Order of the Golden Dawn, dando un primo sfogo ai suoi interessi crescenti per misticismo ed occultismo – Aleister Crowley conobbe Oskar Eckenstein, con il quale formò un fortissimo sodalizio.
Eckenstein era un eccentrico ingegnere ferroviario anglo-tedesco, le cui idee sulle tecniche di arrampicata, l’orientamento apertamente socialista, la classe sociale e le discutibili amicizie – compresa quella con Crowley – lo resero inviso all’elitarissimo Alpine Club. Forse fu proprio per questo che Oskar e Aleister entrarono così in sintonia, in una sorta di “mal comune mezzo gaudio”. Grazie a sempre nuovi studi e ad un’autentica passione, Eckenstein era arrivato a conoscere molte cose in materia di metallurgia e macchinari: fu sempre lui ad inventare il rampone e dieci punte, collaborando nella sua realizzazione con i fabbri Henry e Laurent Grivel, fondatori dell’omonima azienda con sede a Courmayeur. Un’intuizione che non solo rendeva la progressione su ghiaccio più sicura ma evitava anche il penoso lavoro di dover intagliare ogni volta i gradini – generalmente lasciato alle guide, che venivano assoldate anche per questo. Fu sempre Eckenstein a voler accorciare la propria piccozza da un metro e mezzo a circa ottanta centimetri, rendendola più utile sul ghiaccio verticale: una tendenza che fece scuola.

Nel 1902 un tentativo sul K2 finì a pistolettate

Ma tornando alla vicenda alpinistica di Crowley, nel 1900 Eckenstein cominciò a pensare ad una spedizione sul K2, proprio insieme all’amico. I due si prepararono per un paio d’anni, compiendo anche un rendez-vous di allenamento sui vulcani che circondavano Città del Messico, dove scalarono le vette dell’Iztaccíhuatl (5.217 metri) e del Popocatépetl (5.377 metri), rispettivamente la terza e seconda montagna più alta del Paese. Intrapresero anche tentativi falliti di scalare il Volcán de Colima (3.817 metri), che eruttò mentre i due si trovavano a pochi metri dalla vetta, e il Pico de Orizaba (5.677 metri), cima più alta del Messico.

Insomma, tutto era pronto per l’imminente tentativo al K2, che ebbe luogo nel 1902, lungo la cresta nord-est, dove la spedizione fu costretta ad arrestarsi ad una quota di 6.000 metri circa. Su insistenza di Crowley, gli alpinisti del team – composto, oltre che da Eckenstein e Crowley, anche da Guy Knowles, Jules Jacot-Guillarmod, Heinrich Pfannl e Victor Wessely – effettuarono poi un secondo tentativo, puntando alla sella che separa il K2 dallo Skyang Kangri. Fu allora però che un membro della squadra, l’alpinista austriaco Heinrich Pfannl, accusò i sintomi di un edema polmonare. Intuendo la gravità della situazione – e in contrasto con il resto del gruppo – Aleister Crowley decise di ritirarsi e di portare il malato più a valle. I sei, tuttavia, avevano nel frattempo raggiunto la quota massima mai superata all’epoca da una spedizione alpinistica: 6.700 metri.  Le condizioni meteo continuarono nel frattempo a peggiorare, così come l’umore degli alpinisti: vi fu una vera e propria rissa fra Crowley e Guy Knowles, quando quest’ultimo decise di non voler più proseguire con ulteriori tentativi alla vetta. A quanto pare, Knowles riuscì a colpire Crowley con una ginocchiata nelle parti basse prima che quest’ultimo potesse sparare un colpo con il suo revolver. Dopo questo “piccolo” incidente, la spedizione al K2 del 1902 poté dirsi conclusa.

Nel 1905 la tragedia sul Kangchenjunga pone fine alla carriera alpinistica

Nel 1905, Crowley prese parte ad un’altra spedizione himalayana, insieme a Jules Jacot-Guillarmod, che era già stato con lui sul K2. La squadra era questa volta diretta al Kangchenjunga ma fu destinata parimenti al fallimento e segnata da forti litigi e tensioni proprio fra Crowley e Jacot-Guillarmod, sulla carta i due capo-spedizione, composta anche da Alexis Pache, Charles-Adolphe Reymond e Alcesti Rigo De Righi.
Il fulcro delle incomprensioni era, ancora una volta, il carattere terribile di Crowley, che si dimostrò, come da copione, estremamente arrogante, attirandosi le ire dei suoi compagni di scalata e comportandosi soprattutto in maniera abominevole nei confronti dei portatori, che picchiò anche in diverse occasioni. La squadra raggiunse comunque una quota di circa 6.500 metri ma poi Jacot-Guillarmod, De Righi e Pache, accompagnati da quattro portatori, scelsero di ridiscendere più in fretta degli altri, ritirandosi dal Campo 5 – posto a 6.100 metri di quota – nottetempo, nonostante lo stesso Crowley avesse sconsigliato la discesa notturna. I sette vennero dunque travolti da una valanga, che uccise lo svizzero Alexis Pache e tre dei quattro portatori. Charles-Adolphe Reymond, che era rimasto al Campo 5 con Crowley, scese immediatamente in soccorso dei superstiti, mentre Crowley rimase nella sua tenda, ignorando le grida dei sopravvissuti che, a suo dire, erano responsabili di quell’incidente.

Fu proprio con l’infelice spedizione al Kanchenjunga che, nella pratica, terminò la carriera alpinistica di Crowley. Compagno di cordata e di spedizione sicuramente non facile, già affascinato da mondi paralleli di ardua comprensione – forse persino a se stesso – Aleister Crowley fu per l’alpinismo dell’epoca una meteora al contempo dai dubbi valori e dal valore indiscusso. Ma oggi, 120 anni più tardi, non possiamo che riconoscerne perlomeno il talento.

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