The Disciple, la recensione del film indiano
The Disciple, film indiano in streaming su Netflix, è firmato nella regia e nello script da Chaitanya Tamhane. Il regista l’ha presentato nella selezione del Concorso del Festival di Venezia 2020, dopo essere stato reduce dall’esperienza del lavoro svolto assieme ad Alfonso Cuarón (che l’ha voluto in prima persona al suo fianco e che figura […]


The Disciple, film indiano in streaming su Netflix, è firmato nella regia e nello script da Chaitanya Tamhane. Il regista l’ha presentato nella selezione del Concorso del Festival di Venezia 2020, dopo essere stato reduce dall’esperienza del lavoro svolto assieme ad Alfonso Cuarón (che l’ha voluto in prima persona al suo fianco e che figura tra i produttori di quest’opera) sul set di Roma.
Recensione di The Disciple
Tamhane, alla sua seconda regia dopo il Court del 2014, vincitore tra l’altro del premio al Miglior Film proprio a Venezia nella sezione Orizzonti, The Disciple si configura come un’opera più complessa e stratificata rispetto alla precedente. Un film il cui racconto viene emanato poco alla volta tramite traiettorie concentriche che immergono in un viaggio all’interno della musica tradizionale indiana. Un percorso all’insegna dell’ipnotica melodia dei rāqa, le composizioni musicali che assolvono il compito di un mantra declinato nelle mille sfumature alle quali si può accedere solo tramite pratica e concentrazione dai caratteri quasi ascetici.
Quantomeno questo è il voto che fa Sharad (Aditya Modak), che consacra se stesso al continuo apprendimento della forma, dei modelli, della giusta intonazione di una musica classica indiana alla quale è iniziato sin dalla gioventù dal padre. Quest’ultimo cantante di mediocre valore che eppure ritorna lungo tutto il corso del film come una sorta di guida dalla quale tenersi a debita distanza, ma non perdendola mai realmente di vista.
Un po’ come fa lo stesso Tamhane, che si avvicina lentamente e sempre con delicatezza (non priva di spiccata ironia in alcuni frangenti) all’oggetto musicale tramite il malinconico accostamento a Sharad. Spazia all’interno degli ambienti che dimostrano di presentare anche in questa occasione lucidità nella costruzione di una messa in scena che fa metà del lavoro nel sostentare la struttura della composizione filmica.
Opinioni su The Disciple
Un aspetto tra i più interessanti di The Disciple è lo sguardo che riserva al ruolo della tecnologia, che nel racconto che spazia avanti e indietro per un lasso di tempo di circa vent’anni ne mostra e ne sfrutta le varie evoluzioni. Così facendo crea un dialogo dove il medium tecnologico si presta ad un’azione di riconfigurazione della colonna portante del film, la musica, filtrata e rimaneggiata attraverso un’opera quasi archivistico-archeologica di trasposizione di formati e supporti riproducibili.
È quasi un cortocircuito impossibile da mettere in fase quello in cui Tamhane costringe il suo Sharad, destinato da una parte alla sacra missione dello studio di una dimensione sinfonica antica e poco documentata, dall’altra teso a una rincorsa al successo (tra i flash dei reality e dei video YouTube) che non rinuncia all’utilizzo di espedienti ai quali solo i nuovi orizzonti dell’informatizzazione possono dare accesso.
Di certo The Disciple è una creatura ostica da assimilare. Si pone a metà di un orizzonte che considera un binomio apparentemente inconciliabile, il cui progressivo inasprimento delle illusioni del protagonista si avverte tutto, seppur con alcune opacità che tendono a dilatare eccessivamente alcuni snodi di una creatura che fa della sua sostanza ritmica materia mutevole e multiforme.