The Alters Speciale: quando il futuro dipende dal tuo passato
Jan Dolski, un uomo di 35 anni con un passato turbolento e più esperienze di quelle che avrebbe desiderato, intraprende il “Progetto Dolly”, non senza incertezze, ma con un forte desiderio di riscatto. La missione lo porta su un mondo lontano, con l’obiettivo di estrarre il Rapidium, un minerale di inestimabile valore. Tuttavia, il destino […] L'articolo The Alters Speciale: quando il futuro dipende dal tuo passato proviene da Vgmag.it.


Jan Dolski, un uomo di 35 anni con un passato turbolento e più esperienze di quelle che avrebbe desiderato, intraprende il “Progetto Dolly”, non senza incertezze, ma con un forte desiderio di riscatto. La missione lo porta su un mondo lontano, con l’obiettivo di estrarre il Rapidium, un minerale di inestimabile valore. Tuttavia, il destino ha altri piani: la missione fallisce e Jan si ritrova l’unico sopravvissuto. La sua base, un’imponente struttura circolare progettata per un intero team, è ingovernabile per una singola persona. Il pianeta si rivela estremamente ostile, e la minaccia più pressante è data da uno dei tre soli, che si sta avvicinando inesorabilmente, aumentando i livelli di radiazioni e lasciando a Jan pochissimo tempo per fuggire.
In questo scenario disperato, un disturbato contatto radio dalla Terra gli propone qualcosa di assurdo, reso possibile dalle straordinarie proprietà del Rapidium appena raccolto: creare un nuovo equipaggio interamente composto da suoi cloni. Questi sono, in realtà, vere e proprie versioni alternative di Jan Dolski, chiamati Alters. L’idea alla base è affascinante e profonda: cosa sarebbe successo se Jan avesse preso una decisione cruciale diversa in un certo momento della sua vita? Come ne sarebbero cambiate la sua esistenza e la sua personalità? Ogni nuovo componente della ciurma possiede una propria personalità distinta, un set unico di abilità e competenze, ricordi specifici e persino i rimpianti che derivano dalle scelte di vita divergenti che hanno intrapreso. Sono, in sostanza, i “cosa sarebbe successo se” della vita del protagonista, materializzati.
È chiaro che una convivenza del genere, su un pianeta alieno e in costante pericolo di vita, è tutt’altro che semplice ed è qui che la componente narrativa brilla di tutta la sua luce abbagliante, tra storie toccanti e complesse, scelte difficili e dialoghi a scelta multipla. Ma questo è solo uno dei tanti problemi di Jan. Prima di descrivere gli altri, credo sia doveroso dare un po’ di contesto al lavoro di questo promettente team polacco.
L’intrattenimento significativo di The Alters
11 bit studios dichiara di voler creare “Games that matter“, esperienze cariche di significato definite “intrattenimento significativo“, scegliendo di esplorare temi adulti, dilemmi morali e la cruda realtà della sopravvivenza. This War of Mine catapulta il giocatore nel dramma dei civili assediati, costringendolo a scelte strazianti tra il salvarsi e il mantenere la propria integrità morale. Ogni decisione ha un peso tangibile sulla salute fisica e mentale dei protagonisti. Frostpunk amplifica questa tensione su scala cittadina.
Chiamati a governare l’ultima città dell’umanità in un mondo post-apocalittico, i giocatori devono decidere se leggi estreme, come il lavoro minorile, siano un prezzo accettabile per la sopravvivenza della collettività. Nei loro giochi, la sopravvivenza è sempre una possibilità, ma mai un percorso immacolato. La gestione non è un’astrazione di numeri, ma un groviglio di storie umane, volti ed emozioni, dove l’empatia è il vero motore dell’esperienza. Frostpunk 2 spinge questa visione verso un “inverno sociale“, con un complesso sistema di ideologie, fazioni e scelte politiche che riflettono le tensioni contemporanee. Anche come publisher, la loro visione è chiara: promuovono titoli guidati da un’idea forte e capaci di trasmettere messaggi profondi, come Children of Morta o The Invincible.
In definitiva, 11 bit studios non sviluppa semplici videogiochi, ma costruisce specchi oscuri e sinceri delle nostre paure, dei nostri valori e di quelle domande scomode che ci rendono più umani. L’anima dello studio si manifesta in tematiche mature e scomode, ma sempre umane; in scelte morali “grigie”, senza soluzioni giuste ma solo conseguenze; nell’uso della sopravvivenza come strumento per esplorare l’etica e in uno storytelling emergente, dove la narrazione nasce dalle azioni del giocatore, puntando alla riflessione e alla responsabilità come obiettivi finali dell’esperienza. C’è un filo sottile ma molto evidente che collega i lavori del team e comprendere tale processo creativo è fondamentale per apprezzare ancor di più un gioco come The Alters.
Sweating Bullets
Il gameplay si articola in due dimensioni distinte e complementari: l’esplorazione esterna e la gestione interna della base. Quest’ultima si configura come una struttura modulare, mobile e autonoma, un anello meccanico che ruota incessantemente lungo la superficie ostile di un mondo dimenticato. Funge da rifugio, laboratorio e, soprattutto, da teatro dell’anima, dove il giocatore forgia il proprio destino.
Attraverso questa ruota titanica, il giocatore edifica moduli che incarnano funzioni vitali: dormitori, serre, officine, laboratori. Ogni Alter, un’eco divergente del protagonista Jan, trova qui il proprio spazio, la propria funzione e, non di rado, il proprio tormento. La base, infatti, trascende la mera configurazione di macchina e metallo, diventando una coscienza collettiva e un nodo narrativo cruciale. L’interazione tra gli Alters si manifesta negli spazi comuni, nei silenzi colmi di rimpianto e nelle crisi scatenate da scelte mai dimenticate.
Questo scambio tra i membri dell’equipaggio è uno dei tre cuori pulsanti del gioco. Il giocatore è chiamato a gestirli, bilanciare le loro diverse personalità (spesso in conflitto tra loro), assegnare loro le mansioni e persino aiutarli a superare i loro drammi personali. La gestione del gruppo, una volta indossati gli scomodi e inadatti panni di capitano, con tutte le loro complessità psicologiche e le loro capacità pratiche, è assolutamente fondamentale per il successo della missione ed è la parte più riuscita e peculiare dell’intera produzione.
Ogni modulo costruito e ogni assegnazione decisa si intreccia al flusso vitale della base, che richiede un’oculata gestione di energia, materiali, nutrimento e, inesorabilmente, del tempo, risorsa che si consuma mentre il sole letale del pianeta si avvicina, irradiando costantemente la superficie. Visivamente, la base si presenta con una prospettiva laterale, dove ambienti tridimensionali si fondono in una composizione quasi teatrale, illuminata da riflessi metallici, luci fredde e ombre taglienti.
Il metallo cigola, le luci pulsano e gli alter ego di Jan si muovono e interagiscono tra loro al di là degli ordini impartiti. L’interfaccia utente si integra nella scena come elemento diegetico, priva di orpelli; ogni terminale e ogni pannello sono parte integrante del mondo di gioco. Tutto nella base vive in un delicato equilibrio tra funzione e dramma, sopravvivenza e introspezione, rendendola non solo un centro operativo, ma il cuore pulsante dell’intera esperienza ludica ed esistenziale.
La gestione e il dramma: l’esperienza consolidata di 11 bit studios nel campo del micromanagement è evidente in un sistema sobrio ma estremamente efficace, che permette una personalizzazione pressoché totale e un altissimo livello di gestione e automazione. È possibile impostare il numero minimo di scorte per ogni oggetto, interrompere e modificare qualsiasi azione in ogni momento della partita, anche quando si è all’esterno della nave. Un sistema sobrio ma estremamente funzionale che non vuole rubare la scena ma fa silenziosamente il suo dovere.
Come in ogni survival game che si rispetti, l’ottimizzazione del tempo è cruciale: non bisogna sprecare nemmeno un istante per evitare di terminare prematuramente l’avventura, e in caso di problemi si può ricorrere ai settaggi sulla difficoltà in grado di semplificare di molto l’esperienza. Anche gli Alters non possono essere lasciati inoperosi nella stessa mansione; richiedono un riposizionamento quotidiano e un utilizzo attivo e frequente. Questa parte del gioco si dimostra ben funzionante, divertente e adeguatamente difficile, arricchita da una miriade di eventi inaspettati.
A ciò si aggiunge la continua gestione del gruppo: tra proposte strampalate, problemi di convivenza e convinzioni più o meno condivisibili, il giocatore dovrà riuscire a far coesistere le diverse personalità tramite dialoghi a scelta multipla, evitando che la situazione degeneri. E vi assicuro che non è affatto un’ipotesi remota.
When You Where Young
L’altra metà del gameplay si dispiega ben oltre la relativa sicurezza della base mobile. Qui, il protagonista, avvolto in una massiccia tuta da astronauta, si avventura sulla superficie inospitale del mondo, un deserto alieno dominato dal silenzio, da venti impetuosi e da pericoli lenti ma inesorabili. Questa sezione di gioco si svolge in terza persona, con un ritmo volutamente lento e meditativo, amplificando un profondo senso di isolamento e vulnerabilità. Questa minaccia è resa ancora più tangibile dall’impossibilità di salvare il gioco durante l’esplorazione: l’avventura si salverà automaticamente solo andando a dormire, quindi esclusivamente a fine giornata.
Un viaggio tra pericolo e riflessione: questa esplorazione ricorda da vicino le camminate silenziose di Death Stranding: ogni passo è ponderato, ogni uscita è un viaggio solitario in un mondo che non concede perdono. Sulla superficie ostile, tra cieli lividi e distese desolate, il tempo diviene una risorsa cruciale. L’autonomia della tuta è limitata, e una minacciosa tempesta solare incombe costantemente, scandendo ogni scelta e ogni deviazione. Ogni spedizione si trasforma in una scommessa contro l’ambiente e il tempo. Raccogliere risorse essenziali, cercare moduli da installare sulla base e rintracciare punti di interesse, tutto si gioca sul filo sottile tra necessità e rischio.
L’esplorazione, pur solitaria, non è mai vuota. La navigazione richiede attenzione meticolosa: la visuale ridotta, i cambiamenti atmosferici improvvisi e i segnali disturbati rendono difficile mantenere l’orientamento. Sebbene non ci siano combattimenti in senso tradizionale, il senso di urgenza e isolamento è una costante. Durante queste uscite, The Alters abbandona il conflitto concettuale (e non) per abbracciare una tensione silenziosa, fatta di distanze, limiti e profonda introspezione.
La messa a schermo raggiunge vette notevoli: scenari esterni di struggente desolazione si alternano a interni minuziosamente dettagliati, valorizzati dall’uso sapiente dell’Unreal Engine 5. A completare il quadro, le musiche composte da Piotr Musiał, che accompagnano il giocatore con intensità e delicatezza, elevando le sequenze narrative più intime e rendendo palpabile il legame con ogni alter. Grafica e colonna sonora, così, non si limitano a incorniciare l’esperienza: ne diventano anima e sostanza.
È proprio in questo vuoto che il gioco invita il giocatore a raccogliere le idee, sul da farsi, su quel che è stato, su quel che poteva essere. A terra, oltre ai materiali, si trovano anche verità; ogni oggetto raccolto può svelare un nuovo frammento di ricordo, trasformando l’esplorazione in un’estensione fisica del viaggio interiore di Jan. È qui, lontano dalla base che l’ultima fatica di 11 Bit Studio tocca forse le sue corde più intime, costringendo il protagonista ad ascoltarsi davvero nel silenzio assordante di un mondo vuoto.
L’esplorazione è complicata anche dalla scoperta di “anomalie“, che costituiscono la più vicina parvenza di nemico che si possa incontrare nel gioco, e non mancano vari tipi di ostacoli, da pareti verticali da scalare con appositi rampini a cumuli di rocce da distruggere con dei laser usa e getta. Inoltre, si trovano oggetti da regalare ai componenti del nostro equipaggio per accrescere la vicinanza emotiva con essi (in stile Persona, come dichiarato dagli sviluppatori), e moduli per potenziare la nave, aumentandone la capacità o potenziando il computer quantistico per risvegliare un maggior numero di cloni.
No Need to Argue
Il game loop della sezione esterna di The Alters si presenta, nella sua essenza, piuttosto semplice, pur acquisendo notevole intensità con l’avanzare del gioco. Ho impiegato circa una trentina d’ore per completarlo, ma c’è da dire che per provare tutte le possibili interazioni tra gli alters e tutte le loro storie è necessario più di un playthrough. Il giocatore si trova spesso bloccato in una zona e deve sbloccare la nave, forzandone la ripartenza entro un limite di tempo per sfuggire alle letali radiazioni di uno dei tre soli che irradiano il pianeta. Purtroppo, nonostante questa premessa avvincente, la sezione esterna di gameplay cade, alla lunga, nella monotonia e nella ripetitività.
Inizialmente, i primi giorni di esplorazione, specialmente dopo uno dei numerosi spostamenti della nave, si rivelano coinvolgenti. Si è spinti dalla curiosità di raggiungere nuovi punti di raccolta, di capire come superare ostacoli inediti e di scoprire gli obiettivi legati alla trama principale. C’è un genuino senso di scoperta e di risoluzione di piccoli enigmi ambientali. Tuttavia, con il progredire dell’avventura, questa fase ricca di stimoli si riduce a un ciclo ben meno interessante ed entusiasmante.
L’esplorazione si trasforma perlopiù in un mero teletrasporto sulla risorsa da estrarre, seguito dal mantenimento di un tasto premuto fino alla fine della giornata, o da un semplice spostamento verso un’altra risorsa o un obiettivo di storia limitrofo. Questo approccio, sinceramente, appare un po’ scarno, specialmente se confrontato con la profondità e la cura evidente nella gestione interna della nave e nell’interazione dinamica con gli Alters. La disparità tra le due anime del gioco diventa così un punto debole che potrebbe parzialmente intaccare l’esperienza complessiva a lungo termine.
Il percorso terapeutico noto come revisione della vita, o Life Review, fu introdotto negli anni ’60 dallo psichiatra e gerontologo statunitense Robert N. Butler. Figura di spicco nella nascente disciplina della gerontologia, Butler osservò come, avvicinandosi alla vecchiaia, molte persone tendano spontaneamente a ripensare e rielaborare gli eventi della propria esistenza. Questo processo, a suo avviso, non era solo naturale, ma anche profondamente significativo: poteva infatti aiutare l’individuo a dare senso al proprio vissuto, a riconciliarsi con il passato e a trovare una forma di pacificazione interiore.
Nel 1963, Butler pubblicò un articolo in cui descriveva la revisione della vita come una sorta di “bilancio esistenziale” che, se guidato terapeuticamente, poteva avere effetti benefici nella gestione dell’ansia, della depressione, dei rimpianti e delle crisi di identità, specialmente in età avanzata. L’idea si diffuse rapidamente e venne poi integrata in vari approcci terapeutici, tra cui la terapia narrativa, la logoterapia di Viktor Frankl e la terapia esistenziale, arricchendosi nel tempo di strumenti pratici come l’uso della scrittura autobiografica, di oggetti simbolici, di fotografie e di visualizzazioni guidate.
Oggi, la Life Review viene impiegata non solo in psicoterapia individuale, ma anche in contesti di cura geriatrica, in hospice, nei laboratori autobiografici e nei gruppi di crescita personale. È una pratica che aiuta a dare coerenza al proprio vissuto, a integrare emozioni e ricordi anche dolorosi, e spesso a riconoscere il valore profondo delle proprie esperienze, restituendo all’individuo un senso di continuità e identità.
Nel complesso, The Alters si rivela un’esperienza videoludica davvero particolare e profondamente unica nel suo genere. Sebbene non sia esente da occasionali imperfezioni, la sua natura innovativa e la sua capacità di toccare corde emotive profonde la rendono assolutamente consigliabile, un titolo destinato a rimanere impresso nella memoria del giocatore ben oltre i titoli di coda. La sua forza risiede nell’audacia di dar forma a una sorta di psicoterapia interattiva, innestandola magistralmente in un affascinante contesto fantascientifico. Questo connubio non solo offre un intrattenimento genuino e coinvolgente, ma riesce a stimolare una riflessione personale non comune nel panorama videoludico. Tale risultato, capace di combinare divertimento e introspezione, merita senza riserve un sentito applauso, a dispetto di qualche occasionale inciampo che, in un’opera così ambiziosa, è più che perdonabile.
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