The Unforgivable, la recensione del film

Una maledizione aleggia sopra i prodotti a larghissimo consumo di Netflix. Si chiama Algoritmo. Li prende e li rende oggetti neutri e sbiaditi, spesso incapaci di andare fino in fondo con l’assunto dal quale partono. Parliamo ad esempio di The Unforgivable, che di questa attitudine al mancare il punto è un emblema. Lo dirige Nora […]

Jun 6, 2025 - 22:20
 0
The Unforgivable, la recensione del film
The Unforgivable

Una maledizione aleggia sopra i prodotti a larghissimo consumo di Netflix. Si chiama Algoritmo. Li prende e li rende oggetti neutri e sbiaditi, spesso incapaci di andare fino in fondo con l’assunto dal quale partono. Parliamo ad esempio di The Unforgivable, che di questa attitudine al mancare il punto è un emblema. Lo dirige Nora Fingscheidt, al suo secondo lungometraggio, e lo scrivono a più mani Hillary Seitz, Courtenay Miles e Peter Craig. Davanti alla macchina da presa c’è invece Sandra Bullock, che torna a recitare e proseguire il sodalizio con Netflix dopo Bird Box, uscito nel 2018. Si prova a pattinare sulla scia di quel successo affiancando alla Bullock nomi dalla più che discreta risonanza, come quello di Vincent D’Onofrio, di Viola Davis (entrambi, a dire il vero, piuttosto sacrificati) e Jon Bernthal, che oramai è un po’ come il mastice: dove lo metti, sta e rafforza.

The Unforgivable: la recensione del film

Si parte da premesse non particolarmente brillanti, ma che The Unforgivable pare in un primo momento riuscire a veicolare. Gli equilibri sono dosati e le tensioni tra due mondi che appaiono inconciliabili si fanno percepire. Ruth (Bullock) è infatti appena uscita di prigione. Ha passato dietro le sbarre vent’anni della sua vita a seguito della condanna per l’omicidio di uno sceriffo che tentò di sfrattarla di casa. Nonostante il carcere sia concepito come luogo non di punizione, ma come ambiente per accompagnare il condannato in un processo che poi lo condurrà a reintegrarsi nella società, lì fuori nel mondo comune l’aria si fa stretta e gli sguardi schizzano di lato.

Questo è il punto nel quale il film riesce meglio a lavorare su un concetto, a dipingere l’asfissia di una giungla urbana fatta di insistita ostilità e delle imbarazzate, quanto comprensibili, reazioni delle persone che incrociano la storia di Ruth. Ci sono lo sporco e il degrado che attendono chi esce dalle mura di detenzione di uno dei paesi con il più alto rapporto abitanti/detenuti al mondo, c’è poi anche l’indifferenza di un sistema interessato più a bastonare che ad accompagnare lungo un percorso.

The Unforgivable, però, di tutto questo a un certo punto fa solo contesto. Il cuore del racconto si sofferma invece sulla ricerca che Ruth compie nel tentativo di riabbracciare la sorellina Katie (Aisling Franciosi), data in affidamento quando lei è stata arrestata, intrecciandosi anche con linee narrative destinate a convergere goffamente e in modo piuttosto inverosimile verso il finale.

Da un lato il film procede nello scandire i rintocchi della frustrazione nei confronti di un mondo indifferente e muto alla lotta della protagonista. «Mi trattate come se non esistessi», insiste a dire più volte Ruth. Facendolo con un atteggiamento molle e un po’ pigro, ma tutto sommato coerente. Dall’altro, decide di andare a perdersi in un controcampo dove i pensieri sono quelli dei ben poco credibili figli dello sceriffo ucciso da Ruth (Will Pullen e Tom Guiry), che più che aggiungere nervo al dramma non fanno altro che disperdere il vero cuore del discorso.

Opinioni su The Unforgivable

Il culmine del film è un ultimo atto dove tutti i nodi vengono al pettine, ma lo fanno bruciando gran parte della rete faticosamente intessuta e già fragile di suo. La prima cosa che The Unforgivable fa è deresponsabilizzare dal peso di certe azioni chi fino a quel momento si portava sopra le spalle colpe e fardelli. Una scelta compiuta nel maldestro tentativo di svoltare nel campo del martirio e non più della presa di coscienza. Poi l’intreccio finisce anche per incespicare in un’anticlimatica sotto trama di vendetta totalmente fuori fuoco, se non addirittura apertamente ridicola per messa in scena e costruzione del pathos.

Alla fine della fiera, ad uscirne fuori è una narrazione frammentata e che si cannibalizza anche a causa di twist che sortiscono ogni effetto contrario possibile rispetto all’intento per il quale sono stati pensati. Tutto il grigio della storia, che è la porzione più interessante, è spazzato via da scelte che rendono il film un’opera innocua e che scalciano nel fosso le idee più valide.