I Patagarri presentano l’album “L’ultima ruota del caravan”: “Volevamo dare la parola alle persone che, metaforicamente vivono al di fuori dei canoni” – Intervista

“L’ultima ruota del caravan”, album d’esordio de I PATAGARRI, ci ricorda che, anche quando sembriamo essere le ultime ruote di un carro, siamo in realtà fondamentali per farlo andare avanti. Il progetto, a cui si sono aggiunti i due singoli già usciti “Sogni” e “Caravan”, non nasce in uno studio patinato, ma sotto un vero […]

Jun 4, 2025 - 17:50
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I Patagarri presentano l’album “L’ultima ruota del caravan”: “Volevamo dare la parola alle persone che, metaforicamente vivono al di fuori dei canoni” – Intervista
I Patagarri

“L’ultima ruota del caravan”, album d’esordio de I PATAGARRI, ci ricorda che, anche quando sembriamo essere le ultime ruote di un carro, siamo in realtà fondamentali per farlo andare avanti. Il progetto, a cui si sono aggiunti i due singoli già usciti “Sogni” e “Caravan”, non nasce in uno studio patinato, ma sotto un vero tendone da circo, nell’atmosfera unica della Birreria Le Baladin a Piozzo (CN), dove la musica prende vita senza filtri. Dentro ci sono dieci storie. Dieci vite ai margini. Dieci volti che, a guardarli bene, raccontano il mondo. “L’ultima ruota del caravan” (Warner Music Italy), è un album nato dal desiderio di raccontare il mondo con sincerità, lontano dalle convenzioni del mercato musicale. Un disco che non ha paura di suonare “sporco” e che ci porta direttamente nelle strade, tra le voci, le contraddizioni e le speranze di chi vive ai margini, lontano dai riflettori. Noi di SuperGuidaTv abbiamo intervistato I Patagarri: ecco cosa ci hanno raccontato.

I Patagarri – Intervista alla band

Per chi non conosce ancora voi e la vostra musica, ecco da dove nasce il vostro nome e questo progetto?

“Il nome nasce da una serata in cui è venuto fuori questo nome che, vabbè, originariamente arriva da Aldo, Giovanni e Giacomo, quando imitano i sardi, che è Patagarrao. Poi io frequentavo la scuola di liuteria, dove si usava questo termine per, diciamo, nominare quelle cose che non hanno un nome. E quindi, niente, non sapevamo come chiamarci e una sera mi hanno detto, vabbè, Patagarri, un po’ per scherzo, un po’ così. C’è a chi piace e a chi no. Ce lo siamo fatti andare bene”

L’ultima ruota del caravan, è un titolo appunto molto particolare. Perché avete scelto proprio questa tipologia di immagine per presentare il vostro primo album?

“Il caravan è un po’ il mezzo, che in realtà era una macchina per noi, con il quale facevamo dei viaggi d’estate, per suonare in strada, portare la nostra musica, soprattutto in Liguria siamo stati. E un po’ rappresenta il tentativo di evadere dalla società, di scappare attraverso questo caravan, e vivere in comunità o vivere assieme, condividere tutto e fare nuove esperienze, magari anche un po’ ai margini, un po’ al di fuori. Perché poi è anche quello che viene rappresentato e scritto nelle canzoni, ovvero di dare voce, dare la parola alle persone che, metaforicamente vivono al di fuori dei canoni e quindi appunto l’ultima ruota del caravan”. 

Tra le tante cose particolari, anche la scelta di aver registrato il disco sotto un tendone da circo. Com’è stata questa esperienza e che impatto ha avuto sul suono finale?

“Sicuramente all’interno del tendone da circo, insieme a Taketo e a Nico, si è creato un mood che non avremmo potuto ricreare se fossimo andati in studio. Il suono finale è bello grezzo, sporco, ma allo stesso tempo anche genuino e comunque tutto quanto trova il suo posto all’interno di questa dimensione”.

Nell’album ci sono dieci vite ai margini. Come nascono questi personaggi? Li avete incontrati realmente?

“No, nessuno di questi personaggi esiste veramente. Sono più che altro frutto di ispirazione da scorci e da cose che vedevamo nel nostro quotidiano e che vediamo ancora oggi nel nostro quotidiano, vivendo a Milano, andando in giro, in viaggio, suonando in strada. Effettivamente non abbiamo mai visto qualcuno che ruba il pollo a una signora seduta al ristorante o un camionista che si schianta contro un Ferrari, però vedi cose che ti ispirano a dire questo tipo di cose e a scrivere questo tipo di testi vivendo in città, come appunto disparità sociale”.

C’è un brano che è considerato il cuore pulsante dell’album?

“Ognuno ha il suo. Beh, forse per il cuore pulsante dell’album è Il Pollo, sia per il sound che per la tematica. Però Il Pollo è proprio la locomotiva che traina un po’ tutto”. 

Parlate di marginalità, di precarietà, ma anche di ironia e di sogni. È difficile oggi portare avanti una narrazione così scomoda nella musica?

“Sì, ma non è neanche così scomoda, noi ci rispecchiamo, però alla fine credo che Frankie non si sia prestabilito di dover per forza parlare di queste tematiche, sono semplicemente uscite. Partono dalla sua visione del mondo e delle cose. Non le vediamo scomode sinceramente, anzi vedo che ci sia un valore aggiunto. Sarebbe scomodo probabilmente non dirle appunto perché vengono genuinamente, anche noi comunque veniamo da situazioni diverse e ci siamo sempre interessati a questi temi. Io da pischello quando facevo le superiori sono sempre andato al centro sociale. Vedi è anche difficile trovare i contesti giusti e che abbiano le tue stesse idee. Però riuscire a portare queste tematiche nella musica, che è la cosa che ci piace di più, secondo noi è naturale e anche molto bello”.

X Factor 2024 è stato un grande trampolino per voi. Cosa vi portate dietro di quell’esperienza, sia sul piano personale che artistico? E come è stato lavorare con Achille Lauro?

“In realtà X Factor è stato molto di più di un grande trampolino una bella esperienza. L’occasione di metterti in un mondo che noi almeno non avevamo mai vissuto. Ti dà la possibilità di lavorare con persone molto professionali. Poi magari sul momento te la vivi in maniera un po’ pesante, che io ti dico adesso un po’ lo rimpiango. Ci portiamo sicuramente tanto pubblico che comunque ci ha apprezzato e ci ha amato e questo ci ha permesso comunque di fare tutte queste esperienze che stiamo vivendo e senza X Factor sicuramente non le avremmo vissute. Quindi tanti concerti, un disco prodotto da Taketo e tante altre cose. Lauro è super gentile, super comprensivo, ci ha assecondato in tutte le idee pazze e lui ce ne ha date altrettante. Lui bello pazzo come noi, insomma, continuava a dire ah dobbiamo mischiare le cose, sperimentare e ci ha accolto proprio molto bene”.

So che ora parte il vostro tour estivo, che rapporto avete con il palco e con il pubblico?

“Sì, sicuramente la dimensione dei Live è quella che preferiamo più di tutte ed è quella in cui ci riconosciamo maggiormente e quindi qual è il nostro rapporto con il pubblico? Secondo me è molto anche lì genuino, diretto e insomma ci piace un sacco anche intrattenerci. Venite ai concerti!”

Cosa sperate arrivi davvero a chi ascolta L’ultima ruota del Caravan? 

“Sia la parte musicale che la parte testuale comunque sono, non voglio dire di nicchia, però un po’ particolari sicuramente, quindi speriamo che arrivi il nostro tipo di suono, il nostro modo di fare musica, nonostante abbiamo sperimentato rispetto al primo disco che è un po’ più scarno, questo ha un sacco di elementi in più, però anche perché nel suono siamo più compatti, siamo in sei e quindi rende il tutto un po’ più amalgamato, molto più bello. Quindi spero che arrivi questo e poi spero che la gente possa entrare nelle storie che sono rappresentate dai testi, cioè che possano arrivare a tutti e che siano anche gli ascoltatori disposti ad accogliere queste differenze di sound visto che è molto variegato e che presenta pezzi diversi. Ascoltate i testi delle canzoni, che è importante”

Qual è il consiglio che date a chi si sente l’ultima ruota del caravan?

“Andate a prendere il pollo”

Cosa c’è sempre nel vostro caravan, sia vero che immaginario?

“Nel nostro caravan c’è la musica. Siamo tutti stipati, C’è una ruota di moto, ci sono un sacco di schifezze. C’è stato un pezzo di formaggio per un periodo abbastanza lungo. Cosa si può trovare sempre sul nostro caravan? Sempre la porta aperta”

La canzone che avreste voluto scrivere voi o cantare? Che invece ha fatto qualcun altro

“Gangnam Style. A me sarebbe piaciuto scrivere La Verità di Guccini. Anche Summertime. Quei pezzi che superano la prova del tempo, che poi è la cosa più importante. Un pezzo indelebile. Noi ci proviamo, cerchiamo sempre di divertirci e far divertire, e quella è sempre la cosa più importante. Anche Tanti auguri a te, è uno dei brani più suonati della storia della musica”

Avete detto indelebile, cosa deve avere un pezzo secondo voi per rimanere indelebile nella memoria?

“Dipende dal periodo, da chi lo ascolta, da un sacco di cose. Però per essere indelebile forse non deve dipendere dal periodo. Il fatto che sia indelebile secondo me deve essere talmente genuino che chiunque lo ascolti indipendentemente dal contesto storico, geografico, sociale, ecc., possa percepire quello che l’artista e il musicista vogliono trasmettere. Sicuramente deve arrivare a tutti indipendentemente da chi sono, da che musica ascoltano. Possiamo dire secondo noi che di brani ce ne sono veramente pochi di brani così. Wish You Were Here, per esempio, ma anche lo stesso Summertime, che hanno testi universali, quindi comprensibile a tutti. Una linea melodica incredibile. Anche Autumn Leaves, le più iconiche ce le ricordiamo perché hanno quelle linee bellissime unite a testi appunto universali. È bello trovare nei brani parole che restano nel tempo”.