Il senso di colpa in The Last of Us
“Senza la possibilità del perdono, l’uomo non potrebbe agire”. L’abbiamo già detto nella nostra recensione al sesto episodio di The Last of Us: la famiglia è un bel casino. E non siamo certo noi a dirlo per primi, ma tutta una lunga schiera di studiosi, psicologi, pedagogici e chi ne ha più ne metta che… Leggi di più »Il senso di colpa in The Last of Us The post Il senso di colpa in The Last of Us appeared first on Hall of Series.

“Senza la possibilità del perdono, l’uomo non potrebbe agire”.
L’abbiamo già detto nella nostra recensione al sesto episodio di The Last of Us: la famiglia è un bel casino. E non siamo certo noi a dirlo per primi, ma tutta una lunga schiera di studiosi, psicologi, pedagogici e chi ne ha più ne metta che hanno dedicato tutto il loro lavoro proprio allo studio di questo ingarbugliato costrutto sociale. Già nel pensiero classico, la famiglia veniva considerata il nucleo fondante della società. Platone e Aristotele riconoscevano nella paideia familiare la base dell’educazione civica. Ma è nel pensiero moderno che la famiglia assume un ruolo esplicitamente pedagogico.
La famiglia è infatti l’ambiente in cui il bambino sperimenta le prime relazioni, interiorizza modelli comportamentali e apprende i codici simbolici e linguistici. Lo storico Philippe Ariès ha mostrato come la concezione dell’infanzia e, di conseguenza, della funzione educativa familiare, si sia evoluta storicamente, passando da una visione utilitaristica a una progressivamente centrata sul valore affettivo e formativo del legame familiare. Il filosofo Paul Ricoeur ha parlato della “narrazione identitaria”, ossia del modo in cui gli individui costruiscono se stessi attraverso le storie che ricevono e raccontano. La famiglia è l’officina primaria di questa narrazione: racconta chi siamo, da dove veniamo, cosa conta per noi. Le fiabe che ascoltiamo, le fotografie raccolte nei rullini e nei nostri cellulari, le frasi ricorrenti dei genitori, tutto ciò costituisce una semiotica familiare, fatta di simboli e riferimenti che strutturano la nostra memoria e il nostro immaginario.
Se la famiglia è lo spazio primario della trasmissione, la genitorialità ne è la modalità concreta.
Il legame tra la dimensione simbolica della famiglia e la funzione genitoriale è profondo. Ed è per questo motivo che la crisi della genitorialità è anche crisi della narrazione. Genitori incerti, spesso privi di una rete comunitaria, fanno fatica a offrire ai figli racconti coerenti, memorie condivise, prospettive. Eppure, è proprio questo ciò che più conta in educazione: la possibilità di riconoscersi parte di una storia, di un un universo di personaggi e simboli dotato di senso.
Fin dalla sequenza d’apertura, la perdita della figlia Sarah impone a Joel una frattura irreparabile. Quel trauma originario lo trasforma in un uomo chiuso, emotivamente anestetizzato, incapace di riconoscere e accettare una relazione che possa riportarlo alla vita. L’arrivo di Ellie, una ragazzina immune all’infezione fungina che ha devastato il mondo, spezza lentamente questa corazza, rivelando l’intensità della funzione genitoriale in termini educativi e identitari.
Joel non è il padre biologico di Ellie, eppure nel corso del viaggio in The Last of Us sviluppa con lei un legame che può essere definito simbolicamente genitoriale.
In pedagogia, la genitorialità è principalmente un ruolo educativo e affettivo, che si costruisce attraverso la responsabilità, la cura, la mediazione del mondo. Nel linguaggio dello psicoanalista Donald Winnicott, Joel diventa per Ellie una “base sicura”: qualcuno che, pur nella sua durezza, le offre un contenitore emotivo, uno spazio in cui essere vulnerabile, protetta, e infine autonoma. Il percorso non è affatto lineare però. Si evolve su un cammino accidentato, fatto di silenzi, diffidenze, cedimenti. È proprio in questa imperfezione che si rivela il valore pedagogico della relazione. Joel impara, di nuovo, giorno dopo giorno, a “essere padre” senza dirsi tale.
Joel non è un modello educativo nel senso normativo del termine. Uccide, mente, protegge travalicando atti estremi di violenza. Ma ciò che rende educativa la sua genitorialità è la scelta di prendersi cura, nonostante tutto. Un altro aspetto chiave è la trasmissione simbolica. Ellie è cresciuta in un mondo privo delle basilari radici culturali. Senza genitori, senza scuola, senza memoria collettiva. Il suo viaggio con Joel è anche un processo di trasmissione implicita, in cui la cultura si manifesta in forme minime, ma ugualmente potentissime.
Joel, pur senza volerlo, diventa per Ellie un mediatore culturale, a cominciare da quella simbolica chitarra e al gesto, altrettanto simbolico, di donargliela. Attraverso di lui, Ellie conosce il mondo com’era, e può cominciare a costruire una propria identità. In definitiva, la genitorialità in The Last of Us è una costruzione fragile, imperfetta, talvolta ambigua, ma profondamente trasformativa. Joel non si redime, non diventa un eroe, ma rimane la consapevolezza che permette a Ellie di costruire la propria identità, nel bene e nel male.
In che modo, allora, entra in gioco il senso di colpa in The Last of Us?
Ci entra a gamba tesa sin dal prologo della prima stagione. Joel incarna l’emblema del colpevole che non si perdona. La morte della figlia Sarah non è solo un evento traumatico, ma un’impronta indelebile sulla sua psiche, che orienterà ogni sua scelta futura. Joel non si sente responsabile in senso affettivo, più che razionale. Ciò che è successo alla figlia viola, nella sua testa, la norma sottintesa dell’essere genitore. Joel fallisce come padre, perché fallisce nel proteggerla e questo lo condanna a un’esistenza fatta di distanza emotiva.
Quando incontra Ellie, il protagonista di The Last of Us ha l’opportunità di riscrivere il proprio fallimento. Non certo perché Ellie sostituisca Sarah, piuttosto perché il legame con lei lo inserisce di nuovo in un ruolo che aveva dimenticato da tempo. Ed è qui che il senso di colpa ritorna, amplificato. Joel non può permettersi di fallire di nuovo, quindi si chiude alla possibilità della separazione, della rinuncia, persino della libertà altrui.
L’atto finale della prima stagione, ovvero impedire che Ellie si sacrifichi per il bene comune, è il compimento e la distorsione della sua colpa originaria. Salva Ellie per non riperdere Sarah. È un gesto che non nasce da un’etica universale, ma da un bisogno individuale. Joel mente, uccide e distrugge per tenere Ellie con sé. Il senso di colpa si è trasformato in una gabbia affettiva, al cui interno sono rinchiusi entrambi i personaggi in eguali misura, anche se per motivi diversi.
Nel secondo capitolo di The Last of Us, Ellie prende il centro della scena. E con lei si manifesta un nuovo tipo di colpa: la colpa di essere sopravvissuta, di non aver potuto salvare chi amava.
Ellie porta con sé una scia di morti che la distrugge nel profondo. Eppure il senso di colpa non deriva dal fatto di aver ucciso, ancora e ancora, ma di essere sopravvissuta. Ellie si chiede “perché io sono viva?” e non trova risposte, perché la decisione le è stata sottratta. Joel ha agito come padre protettivo, ma ha negato alla ragazza la possibilità di autodeterminarsi. Ha tradito la relazione, scegliendo per lei ciò che lui non era riuscito a fare per sé.
La sua colpa, allora, non è solo nei confronti di Joel o delle Luci, ma verso se stessa. La missione vendicativa nella seconda stagione, contro la sua personale balena bianca, è anch’essa permeata da dinamiche traumatiche. Ellie cerca una forma di catarsi, ma l’unica cosa che trova è la distruzione di ciò che le restava. La protagonista si muove nel mondo come se dovesse pagare un debito che non ha mai contratto, ma che sente sulle spalle.
Il rapporto tra Joel ed Ellie è dunque intrinsecamente ambivalente. Non è amore puro, né paternità idealizzata: è un legame segnato da omissioni, dipendenze affettive, scelte discutibili. L’infezione in The Last of Us (le due stagioni sono disponibili sul catalogo Sky qui) è metaforica quanto reale. Il Cordyceps, fungo parassita che annulla la volontà dell’ospite, diventa immagine potente del modo in cui la colpa e il trauma occupano la mente e guidano l’azione. Joel agisce “per amore”, ma un amore intriso di bisogno e perdita. Ellie vuole essere libera, ma non può esserlo senza fare i conti con la menzogna. I traumi irrisolti li avvicinano e li allontanano in continuazione, come due pianeti con orbite instabili.
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