Vie ferrate: belle, ma vale la pena spingersi oltre. Parola di guida alpina
Le ferrate dovrebbero essere solo un primo passo verso la conoscenza del verticale e dell’esposizione. Limitarsi alle vie attrezzate fa perdere la possibilità di lasciarsi abbracciare dalla magia dell’arrampicata L'articolo Vie ferrate: belle, ma vale la pena spingersi oltre. Parola di guida alpina proviene da Montagna.TV.

Con l’arrivo dell’estate, nuove ferrate, lucide, solide, ben pubblicizzate compaiono un po’ ovunque lungo le pareti. “Adrenaliniche”, “panoramiche”, “accessibili a tutti”. Ogni valle ne ha una, ogni estate se ne inaugura una nuova. Per molti è un’occasione: salire, provare il vuoto, vivere qualcosa di forte. Eppure qualcosa sembra mancare.
Le vie ferrate sembrano portare l’avventura a portata di mano. Si attaccano i moschettoni e si parte, il tracciato è fisso, il rischio calcolato, l’impegno contenuto. Per tanti è il primo passo verso la montagna verticale, un assaggio di esposizione, una sfida personale. Comprensibile, anche utile, se resta un passaggio, ma quando diventa un’abitudine, un automatismo, rischia di farci perdere proprio quello che cerchiamo: il senso del salire.
C’è perfino chi dedica queste linee di ferro a grandi alpinisti, passati o viventi. Ma saranno contenti, quei nomi, di vedersi eternati in un’infilzata di pioli e staffe? Chi conosce il valore della libertà verticale, della scoperta, dell’incertezza come cifra dell’esplorare, si rigira nel sacco a pelo.
La montagna offre esperienze vere quando ci mette in relazione con l’incertezza, quando ci chiede attenzione, adattamento, sensibilità. Nelle ferrate tutto questo è ridotto al minimo, non si leggono linee, non si cercano appoggi, non si ascolta il proprio corpo. Si seguono pioli, si fa clic-clac con i moschettoni. È comodo, rassicurante, ma anche un po’ ingannevole, si ha l’illusione dell’alpinismo, senza viverne davvero l’essenza.
Eppure ognuno, indipendentemente da esperienza o capacità, può trovare in montagna la propria avventura. Non serve essere “forti”, né esperti, basta scegliere percorsi adatti, imparare poco a poco a leggere il terreno, ad ascoltare l’ambiente. Bastano lenti progressi, incontri veri, piccole incertezze da affrontare con fiducia. È lì che nasce la scoperta, ed è lì che si forma una relazione autentica con il paesaggio.
Per chi fa il mio mestiere – la guida alpina – la vera soddisfazione non è accompagnare qualcuno lungo una catena metallica, ma aiutarlo a uscirne. A riconoscere che la bellezza più profonda sta altrove: nel gesto non previsto, nel passo attento, nell’appoggio cercato. Anche sul terreno facile, senza esposizione e senza cavi, si può vivere una grande esperienza. Anzi, forse proprio lì si comincia a capire.
Non si tratta di essere contro le ferrate in assoluto. Alcuni tracciati storici, specie nelle Dolomiti, raccontano la memoria della guerra e dell’accesso a un mondo allora irraggiungibile. Ma è un altro tempo. Oggi, nella fretta di attrezzare, di offrire, di rendere tutto accessibile, si rischia di semplificare troppo. Di confondere il consumo con l’avventura, di perdere il silenzio, lo spazio, la libertà.
Allora provate, se vi va, a uscire dal sentiero ferrato. A salire con attenzione su una semplice pietraia, a esplorare una cresta erbosa, a trovare un passaggio tra le rocce senza maniglie pronte. Scoprirete che anche lì c’è emozione, soddisfazione, crescita. E che non serve appendersi a un cavo per sentirsi in alto.
Forse, proprio lì comincia davvero il vostro cammino in montagna.
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