“Fumo”: il disco più bello (e doloroso) che sentirete quest’anno
L’hanno rifatto, i Casino Royale. Trent’anni dopo. Ora: il problema è chissà quanti se ne accorgeranno, ok. Ma “Fumo”, a trent’anni di distanza, è un album che tocca le stesse vette di intensità, qualità, bellezza della sacra triade “Dainamaita” (1993), “Sempre più vicini” (1995), “CRX” (1997). Oh sì. Una triade, quella appena nominata, che a… The post “Fumo”: il disco più bello (e doloroso) che sentirete quest’anno appeared first on Soundwall.

L’hanno rifatto, i Casino Royale. Trent’anni dopo. Ora: il problema è chissà quanti se ne accorgeranno, ok. Ma “Fumo”, a trent’anni di distanza, è un album che tocca le stesse vette di intensità, qualità, bellezza della sacra triade “Dainamaita” (1993), “Sempre più vicini” (1995), “CRX” (1997).
Oh sì.
Una triade, quella appena nominata, che a molti meno che quarantenni non dirà granché ma che è l’autobiografia sonora ed emotiva più nitida di chi, negli anni ’90, ha buttato il sangue e i nervi nel credere in una musica italiana migliore e, pure, in una società più giusta e comunitaria, una società capace di depurarsi dell’individualismo crudele thatcheriano e del crasso ed arrogante edonismo craxiano. Altri poi hanno raccolto questo afflato – vedi Subsonica – traghettando tutto questo nel nuovo millennio, ma la scintilla originaria è Casino Royale, fidatevi, un po’ come tutto l’hip hop italiano vincente del nuovo millennio deve parecchio al salto di qualità generato all’epoca da “SXM” dei Sangue Misto (…e, guarda un po’, mille sono gli intrecci tra Casino Royale e Sangue Misto, a metà anni ’90: Gruff in organico nei CR, il remix clamoroso di “Cose difficili”…), e lo stesso vale per la musica italiana che non si è (s)venduta al pop dal 2000 in poi, che magari nel pop ci è stata e ci sta, sì, ma mantenendo un minimo di coscienza critica – anche qui credit is due.
(L’avevate mai sentita questa perla? Continua sotto)
Però ecco: “Fumo”, uscito oggi ventitré maggio duemilaventicinque, di “Dainamaita” ha la stratificazione dei suoni e la capacità di accogliere la complessità (senza perdere però il DNA originario anglo-giamaicano), di “Sempre più vicini” ha la capacità di essere maledettamente generazionale, di “CRX” ha la cupezza e il coraggio di immergersi nella paura. Con tutto il bene che abbiamo voluto a quello che è arrivato dopo “CRX” (“Reale”, 2006, “Io e la mia ombra”, 2011, “Polaris”, 2021: comunque materiale di qualità, mica schifezze), c’è sempre stato il sottotesto che erano dischi a cui volere bene (anche) per omaggiare quanto cazzo Casino Royale sia stato fondamentale per chi negli anni ’90 aveva vent’anni e un minimo di cuore e di coscienza sia sociale che estetica. Per questo, più che per altro.
(Casino Royale oggi, fotografati da Lorenzo Barassi; continua sotto)
Ma ora è diverso. Innervato dalla forza di nuove generazioni, la navicella Casino Royale si è rimessa definitivamente sulla rotta più vibrante, livida e coraggiosa. Il primo strattone lo ha fornito Francesco Leali, la cui influenza in “Polaris” è stata decisiva ed ha aiutato l’entità Casino Royale ad essere quello che sempre ha voluto e vorrà essere, una unit creativa rivolta verso il futuro, non verso il nostalgismo dei reduci da replicare a comando in serate-nostalgia. Un passaggio necessario anche se non pienamente riuscito – “Polaris” è un disco talmente emotivamente freddo da lambire ogni tanto la stasi e l’inerzia, seppure in modo elegante – e che comunque ha liberato definitivamente CR dal suo passato, perché era un lavoro talmente astratto e trasfigurato che ha fatto capire che no, il passato-a-comando non sarebbe più tornato.
Innervato dalla forza di nuove generazioni, la navicella Casino Royale si è rimessa definitivamente sulla rotta più vibrante, livida e coraggiosa
Il grande paradosso è che proprio quando ciò è stato dichiarato, capito e recepito in modo tombale, si è riaperto lo spazio e lo stato di grazia per rigenerare il passato in questione: beffarda e luciferina ironia. Ma rigenerarlo in modo naturale, involontario, inconsapevole, e non per calcolo di piccolo cabotaggio per grattare ancora qualcosa dalla grandezza e dalla rilevanza di venti, anzi, trent’anni fa.
La differenza, fidatevi, è profonda.
Probabilmente una mano fondamentale in tutto questo l’ha data Cristiano Crisci alias Clap! Clap!, uno dei più devastanti talenti di casa nostra, probabilmente troppo bravo e troppo geniale per avere successo (si sa, la complessità e la generosità sono nemiche dell’efficienza e dell’ottimizzazione), anche se della sua bravura negli anni se ne sono accorti Paul Simone e la Warp, giusto per dire, mica degli stronzi di nicchia. Lì dove “Polaris” era visionario ma un po’ gelido ed algido, siamo convinti che Clap! Clap! abbia inserito la superba flyinglotusizzazione che pervade tutto “Fumo” dandogli un valore aggiunto immenso (una traccia per tutte: “Freddo in Estate”) e, oltre a questo, abbia aiutato a far ritrovare “sangue” sotto forma di funk 3.0 e striature jazz alle radici dub-ska della visione sonora Casino Royale, che è il motivo per cui questo disco è all’altezza della sacra triade anni ’90 e non solo un “buon disco”.
(A voi uno degli album più belli ed importanti degli ultimi anni; continua sotto)
No, “Fumo” non è un “buon disco”, è molto di più, è un gioiello totale che stilla emotività: e questo anche grazie – torniamo all’importanza delle nuove generazioni – alla presenza di Marte Del Grandi ed ALDA, che ciascuna a modo suo (Marte Del Grandi con la sua eleganza sofisticata, ALDA con un rap rabbioso e sguaiato) danno dei colori semplicemente meravigliosi all’album, aumentandone il ventaglio espressivo ed emotivo in modo stupefacente. E qui però va sottolineato che questi elementi sono incastonati con mano sicura e visione lungimirante nel corpus identitario sonoro dell’album: le loro voci potevano essere interessanti ma disgreganti, invece sono inserite con saggezza e visione, trattate nel modo giusto, tagliate nel modo giusto, centellinate nel modo giusto.
Finora abbiamo parlato di musica (…e molto ancora ne dovremmo parlare: quanto è devastante la jungle di “Odio e oro”? Quanto è tecnicamente interessante il procedimento milesdavisiano “alla Teo Macero” per cui nell’arco di tutto l’album brani e frasi ricorrono, si riprendono, si intrecciano?), ma l’altro aspetto per cui “Fumo” è un cazzo di disco fondamentale è il messaggio che lancia col suo apparato lirico. Due componenti fondamentali: la lucida e spietata analisi sul perché i tempi che stiamo vivendo siano particolarmente di merda, violenti ed egoisti (quello che i trapper esprimono a mugugni, singulti afasici, frasi sempliciotte ed ostentazioni, senza manco sapere di farlo, di esprimerlo, Casino Royale anno 2025 lo butta giù in poche, taglienti e dolorose strofe, capaci di fotografare un intero decennio, senza sconti a nessuno) e poi, alla fine, un messaggio di speranza. Ma un messaggio di speranza per nulla consolatorio, semmai un amorevole calcio in culo in cui ci si ricorda che abbiamo il dovere morale – anche per le nuove generazioni – di non rassegnarci e di “riprenderci tutto”. Vi sfidiamo a non commuovervi in più di un passaggio dell’album.
No, non è questione di “nostalgia degli anni ‘90”, “quanto erano belli gli anni ‘90”, “quanto era importante l’impegno, non il clepto-capitalismo materialista dei trapper odierni”. Chi se ne frega degli anni ’90
Fa male, “Fumo”. Fa veramente male. I suoi testi e i suoi messaggi fanno male, per quanti ti scavano dentro.
E no, non è questione di “nostalgia degli anni ‘90”, “quanto erano belli gli anni ‘90”, “quanto era importante l’impegno, non il clepto-capitalismo materialista dei trapper odierni”. Chi se ne frega degli anni ’90. Ci sono stati, sono stati belli (per alcuni, non per tutti…), ma è ormai una questione di trent’anni fa. I Casino Royale oggi gli anni ‘90 li riciclano solo per gli insegnamenti attitudinali “anglosassoni” che ci hanno dato in musica (digitale meets Giamaica, urban meets stile), ma a livello di messaggio e linguaggio sono ben piantati nel 2025, come possono esserlo un Marracash e un Salmo (ovvero al momento i due commentatori-in-musica più intelligenti e pungenti in circolazione), naturalmente con molte meno parole, e lavorando più per lampi verbali e strofe brevi.
Insomma: anche se è maggio, saremmo molto sorpresi se nel 2025 uscisse un disco migliore di “Fumo”. Così siamo sorpresi che i Casino Royale esistano ancora, ed esistano così: segno che la fiamma della fame di creatività e di sensibilità emozionale può restare viva anche se non hai il mega-contratto con la major, e non bazzichi già da tempo il mainstream. Un gran bell’insegnamento: per le giovani generazioni che ormai, anche se arrivano dall’indie, sono tutte ben comprese nel grido “O mainstream, o morte”, ma anche per quelle vecchie che pensano che abbia dignità solo la nostalgia rancorosa e il revival residuale come arma identitaria. I Casino Royale oggi, anno 2025, sono meglio di voi.
Non se ne accorgerà nessuno? Se ne accorgeranno in pochi? Sticazzi. Chiunque si tufferà in “Fumo” e ne leccherà la profondissime, minacciose vibrazioni, avrà fatto un bellissimo regalo a se stesso o se stessa.
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