Laura Osma: “Nuquì è il mio porto sicuro”
Sembra sia felice solo se è perennemente in viaggio, Laura Osma. Colombiana, 30 anni, la Bea spietata del Blocco 181 e oggi di Gangs of Milano (Sky), è la più lanciata delle attrici latine e ormai naviga tra continenti e contraddizioni come la più esperta delle surfiste: «Ci provo, almeno. Tra l’altro, mi piace anche cavalcare le onde», confida. Foodie L'articolo Laura Osma: “Nuquì è il mio porto sicuro” sembra essere il primo su Dove Viaggi.

Sembra sia felice solo se è perennemente in viaggio, Laura Osma. Colombiana, 30 anni, la Bea spietata del Blocco 181 e oggi di Gangs of Milano (Sky), è la più lanciata delle attrici latine e ormai naviga tra continenti e contraddizioni come la più esperta delle surfiste: «Ci provo, almeno. Tra l’altro, mi piace anche cavalcare le onde», confida. Foodie convinta, sex bomb per caso, nel suo paese è candidata come miglior attrice per Pimpinero (Amazon) e ha appena girato un action movie con Kiefer Sutherland (Sierra Madre di Justin Chadwick). In equilibrio tra culture e passioni, adottata dall’Europa che l’ama alla follia, ha un debole per l’Italia e le valigie sempre pronte.
La sua vita sembra essere alla costante ricerca di nuovi orizzonti: da dove nasce questa voglia di viaggiare?
«Ho iniziato a recitare a 17 anni in Colombia in una serie tv, Fugitivos. Poi ho deciso che l’inglese era la chiave per aprire altre porte e che avrei dovuto parlarlo bene. Ma andare a studiare a New York sarebbe stato troppo facile. Così ho puntato il dito sulla mappa e ho scelto la Nuova Zelanda. Letteralmente ‘il culo del mondo’. Nessun contatto locale, nessuna scappatoia. L’immersione totale perfetta».
Com’è vivere agli antipodi del mondo conosciuto?
«Avevo 19 anni, il mondo davanti a me e una famiglia ospitante che mi ha accolta come una figlia. Ero a Queenstown, a sud dell’isola, in un luogo dove trovi più pecore che persone, ma brulica di giovani avventurieri. È una città che ti sussurra continuamente che esiste un altro modo di vivere, più lento, più connesso con la natura. E un giorno mi sono messa a fare l’autostop, che è la cosa più normale del mondo, laggiù».
E che cosa è successo?
«Un passaggio in autostop si è trasformato in un’audizione improvvisata. La ragazza alla guida aveva un’agenzia pubblicitaria e mi ha chiesto se avessi voglia di fare delle foto. E insomma ho girato tre spot pubblicitari: quello di un gelato, poi di un salone di bellezza locale e persino di una squadra di rugby, gli All Blacks. La vita è fatta di questi momenti in bilico tra caso e destino».
Parliamo di Gangs of Milano. Ha conquistato la parte in una lingua che non conosceva. Come ha fatto?
«Era gennaio 2021, la coda della pandemia. Il mio manager mi aveva parlato di un casting per una serie italiana. Stavano cercando ragazze latinoamericane. Il mio italiano? Sapevo giusto dire “grazie, prego, buonissimo”. Punto. Quando mi hanno chiesto di volare in Italia per l’audizione finale, ho avuto un momento di panico. Temevo di essere finita in un traffico di esseri umani. Ho insistito per una videochiamata con tutti i responsabili di Sky perché volevo vederli in faccia e, una volta che ho controllato online che esistessero davvero, allora sono partita. Ho fatto l’audizione parlando in spagnolo e tre giorni dopo mi hanno informato che la parte era mia».
Milano attraverso gli occhi di una colombiana. Che città ha trovato?
«Glaciale e accogliente, frenetica e contemplativa. È più metropolitana del resto d’Italia, ha un’energia che vibra sotto la superficie. I primi sei mesi sono stati un esercizio di solitudine, non parlavo la lingua, non conoscevo anima viva. Ma c’è qualcosa nella città che ti abbraccia lentamente, quasi con riluttanza. Come un milanese, in fondo».
Torino, dove avete girato diverse scene della serie, è stata un’esperienza diversa?
«Torino ha un’anima più romantica, più malinconica. C’è questa danza quotidiana tra la città e le Alpi sullo sfondo che al mattino e al tramonto cambia continuamente. Correvo la mattina al parco del Valentino, guardando la luce trasformare la città. Milano ti conquista con il suo ritmo, Torino con il suo silenzio».
Due indirizzi segreti che consiglierebbe ai nostri lettori?
«A Torino, la Pescheria Gallina. Non è solo un ristorante, è un teatro gastronomico dove il menu cambia ogni giorno, dipende da ciò che il mare ha deciso di regalare. Cibo ottimo e prezzi giusti. E poi il Monte dei Cappuccini per vedere la città dorata al tramonto. A Milano, Nowhere alle Colonne di san Lorenzo, un minuscolo spazio completamente rosa dove il cibo è un’esperienza quasi mistica: il brunch è irresistibile».
È cresciuta tra set cinematografici e scuole di cinema. Dove si è sentita a casa?
«Sono cresciuta con mia nonna a Bogotà e, a un certo punto, mia madre mi ha portato a Cuba perché voleva studiare alla Scuola Internazionale de San Antonio de los Baños che non è solo un’istituzione, ma una filosofia. García Márquez l’ha fondata perché credeva che le storie latinoamericane meritassero narratori latinoamericani. L’influenza di Cuba sul nostro cinema è come un fiume sotterraneo, invisibile ma potente».
Com’è crescere con una madre produttrice?
«Significa sviluppare una visione del mondo più ampia. Guardavo film che nessun bambino di cinque anni dovrebbe vedere. Quando abbiamo lavorato insieme, abbiamo stabilito una regola ferrea: sul set niente legami famigliari. Lei era la produttrice, io l’attrice. Ma è stata lei a darmi “il calcio” di cui avevo bisogno. Mi ha semplicemente detto: “Vai!”. E io non mi sono più fermata».
Qual è il luogo nel mondo che l’ha sorpresa di più?
«Nuquí, nella regione del Chocó sul Pacifico colombiano. Immagina una Thailandia selvaggia, primordiale, dove la natura non ha ancora negoziato con l’uomo. Si raggiunge solo in barca, un’ora e mezza di navigazione. È un luogo sospeso nel tempo, da giugno a ottobre le balene vengono a partorire, le tartarughe marine depongono le uova e di notte il plancton trasforma l’oceano in un cielo stellato giallo-verde. È come essere in un sogno lucido, una specie di trip».
È sicuro viaggiare in Colombia oggi?
«Nuquí è sicuro ora, ma ha una storia complicata. È rimasto isolato proprio per questo e così ha preservato la sua bellezza. Ci sono andata con un’amica e abbiamo incontrato canadesi, svizzeri, esploratori di ogni nazionalità. È un luogo che attira un certo tipo di viaggiatore, quello che cerca l’autenticità prima del comfort».
Che tipo di viaggiatrice si considera?
«Io mi posso adattare ovunque. La scorsa settimana ero a Quibdó, uno dei luoghi più poveri della Colombia, per un progetto di volontariato. Dormivo in un letto semplice ma pulito, mangiavo uova da una scatola di plastica. Due giorni dopo ero a Londra a sorseggiare champagne in un hotel di lusso. Il segreto è rimanere sé stessi in entrambi gli scenari».
C’è un talismano che porta sempre con sé in viaggio?
«I tappi per le orecchie: sembra banale, ma ti salvano la vita su un volo notturno. E poi questo braccialetto che ho comprato a Ubud, Bali. Ha una pietra rossa e semi di un albero sacro locale. È un amuleto per proteggere il cuore, non solo dalle delusioni d’amore, ma da tutto ciò che potrebbe ferirlo. Io sono molto sensibile, mi commuovo facilmente».
Ha quasi 30 anni ma ne dimostra dieci di meno. Ha un suo segreto?
«Docce fredde, ogni giorno. E poi coltivare la felicità».
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