Doctor Who 15 – La Recensione di un finale di stagione che lascia l’amaro in bocca
ATTENZIONE! L’articolo contiene SPOILERS sulla nuova stagione di Doctor Who Who are you?I’m the DoctorDoctor who?– Intro C’è una peculiarità in cui Doctor Who, anche rispetto alla maggior parte delle altre serie tv, ha sempre eccelso. Ovvero la sua innata capacità di reinventarsi. D’altronde proprio l’escamotage narrativo delle rigenerazione è diventato, quasi da subito, la… Leggi di più »Doctor Who 15 – La Recensione di un finale di stagione che lascia l’amaro in bocca The post Doctor Who 15 – La Recensione di un finale di stagione che lascia l’amaro in bocca appeared first on Hall of Series.

ATTENZIONE! L’articolo contiene SPOILERS sulla nuova stagione di Doctor Who
Who are you?
I’m the Doctor
Doctor who?
– Intro
C’è una peculiarità in cui Doctor Who, anche rispetto alla maggior parte delle altre serie tv, ha sempre eccelso. Ovvero la sua innata capacità di reinventarsi. D’altronde proprio l’escamotage narrativo delle rigenerazione è diventato, quasi da subito, la fondamentale caratteristica della storia di Doctor Who (la nuova stagione è disponibile sul catalogo Disney+ qui). La serie tv che ha fatto di necessità virtù. Il concetto di rigenerazione non era previsto all’inizio della serie. Doctor Who debuttò nel 1963 come programma per bambini, che unisse l’intrattenimento all’intento educativo. Tuttavia, con il passare degli anni, la natura dello show si fece più avventurosa e meno pedagogica. Quando Hartnell dovette abbandonare, Sydney Newman (co-creatore della serie) propose che il Dottore, alieno della razza dei Signori del Tempo, potesse “cambiare aspetto” al momento della morte.
La proposta della Newman nasceva esclusivamente da una necessità tecnica, in modo da permettere allo show di continuare anche senza la presenza di Hartnell. Quella scelta non solo si è rivelata azzeccata, ma, con il passare degli anni, è diventata caposaldo della narrazione stessa della serie. Da un lato la rigenerazione permette la continuità del personaggio, pur cambiandone volto, voce, personalità e comportamento. Il Dottore è sempre “lo stesso”, ma ogni incarnazione riflette tratti nuovi, spesso in risposta ai tempi o alla visione autoriale del momento. Dall’altro ha permesso a Doctor Who di attraversare decenni di televisione con sempre rinnovata freschezza.
Con il passare degli anni, la rigenerazione ha assunto anche un valore simbolico e psicologico in Doctor Who.
Il Dottore rigenera quasi sempre in seguito a sacrifici, perdite, battaglie morali e ogni nuova incarnazione porta con sé l’eredità di quella precedente, ma anche un tentativo di superarne il dolore. In particolare, nella nuova serie (dal 2005 in poi), la rigenerazione è rappresentata come un evento carico di emotività. Il Nono Dottore rigenera dopo aver assorbito l’energia del Tempo per salvare Rose. Il Decimo Dottore pronuncia il celebre “I don’t want to go” prima della sua fine, marcando l’angoscia esistenziale della perdita del sé. L’Undicesimo Dottore accetta con saggezza il cambiamento, mentre il Dodicesimo invita la sua nuova versione a “essere gentile”.
Con l’arrivo del Tredicesimo Dottore, la rigenerazione ha raggiunto una svolta storica. Per quanto molto discussa è criticata, la scelta di un Dottore donna ha indubbiamente aperto la strada a nuove letture della rigenerazione. Anche la scelta di Ncuti Gatwa come Quindicesimo Dottore — primo uomo nero a ricoprire il ruolo — continua su questa linea, facendo della rigenerazione un potente veicolo di rappresentazione.
Esiste, tuttavia, un’altra peculiarità che ben si intreccia con quella della reinvenzione. Almeno nel caso di Doctor Who.
Stiamo parlando ovviamente della autoreferenzialità. In più di sessant’anni di storia, infatti, la serie tv della BBC non ha mai dimenticato le proprie origini, né tantomeno la strada percorsa. Di stagione in stagione, di Dottore in Dottore, lo show ha sempre tenuto bene a mente le proprie radici, omaggiandole, citandole. Persino ritornando sui propri passi, come nel caso del ritorno di David Tennat nei panni del Quattordicesimo Dottore. E se Steven Moffat ha creato la sua lore, e Chris Chibnall ha provato a perfezionare quella già esistente, sicuramente va a Russell T. Davies il merito di aver tenuto in vita il passato.
Once Upon a Time. The Time Lords were very clever people from the planet Gallifrey, but one of the Time Lords ran away.
Ormai lo abbiamo detto e ridetto: la nuova era Davies-Gatwa ha ridato vita a Doctor Who.
Nel bene e nel male, la serie tv è tornata a far parlare di sé dopo un periodo di forte calo. Davies riprende il meglio dello show, strizzando molto l’occhio ai nostalgici, inserendo pericoli e avversari del passato, accollandosi l’appellativo di woke e ricalcando lo stesso iter della prima era. Perché se il Quindicesimo Dottore di Ncuti Gatwa è un miscuglio eccentrico di Nine e Ten, le companion Ruby e Belinda sono palesemente la versione 2.0 rispettivamente di Rose Tyler e Martha Jones. Non ci sono Daleks e Cybermen, ma c’è pantheon degli dei, tra cui lo spaventoso Toymaker e il meno spaventoso Suteck. Non compare il Maestro, ma abbiamo il lungo atteso ritorno della Rani. Insomma la volontà di Davies di appellarsi con tutte le sue forze al passato è indubbia, ed è proprio questo che ha infine rappresentato al fortuna e sventura della nuova era.
Nello scorso episodio abbiamo assistito alla realizzazione del piano a lungo termine della Rani /Mrs Flood. Dopo aver intrappolato, con l’inganno, il Dottore e Belinda dentro un pocket world creato dai desideri di Conrad, la Rani è pronta a risvegliare Omega, il primo dei Time Lord. Per riuscirci, però, ha dovuto dare vita a un nuovo dio, Desiderium, settimo figlio di un settimo figlio, e sfruttare l’energia raccolta dal Dottore stesso con il vindicator.
Prendendo moltissimo spunto anche da The Truman Show e WandaVision, il settimo episodio è una lunga e inquietante premessa a un finale di stagione di Doctor Who incredibile.
L’indizio, a ben vedere, è già nascosto in bella vista nell’opening, ma non corriamo troppo. Il Dottore sta precipitando nella frattura spazio-temporale creata dal piano della Rani, quando a salvarlo interviene il TVA… scusate Anita, del Time Hotel. In casa Disney piace riutilizzare gli asset. E il 4202, ma il mondo continua a finire nel 2025, resettandosi sempre al 23 maggio. L’intento della Time Lord è molto semplice: indebolire sempre più la realtà, tanto da poter vedere al di sotto, nell’Underverse, e trovare così Omega. Quello che risulta meno chiaro è il perché.
Ed eccoci dunque alla prima bomba sganciata da Davies in questo finale di stagione: la razza dei Time Lord è sterile. Come la stessa Rani spiega, di fronte al Dottore e al resto della UNIT, il dna di Omega potrebbe la loro unica speranza di far continuare la specie. Gli alieni di Gallifrey sono, infatti, “a biological dead end”, infertili e incapaci di riprodursi, la loro estinzione è solo una questione di tempo. Ironico. Ed è per lo stesso motivo che l’esistenza di Poppy è un piccolo miracolo, nato da un desiderio. Peccato che le idee della Rani siano più del tipo la-razza-pura-è-solo-quella-dei-Time-Lord e che non sia tanto incline a contaminazioni esterne.
“The sound of drums” risuona, un doppio battito che annuncia il ritorno di Omega.
Risvegliato dalla sua tomba o forse dal suo esilio, The One Who Was Lost è diventato esso stesso leggendo tramutandosi nel Mad God. Non devono avergli insegnato le buone maniere, né tantomeno che spuntini di Time Lord prima di cena ti chiudono l’appetito. Ciao ciao Rani, alla prossima. Lo scontro tra Omega e il Dottore avviene in un battito di ciglio e la realtà è di nuovo salva. Inutile soffermarsi troppo a lungo su Poppy, sulla validità o meno di questa direzione narrativa e su come, alla fine dei conti, ci ricorderemo molto più di Ruby Sunday che di Belinda Chandra. Personaggio dall’enorme potenziale, ridotta a prendersi cura di una bambina che tecnicamente non dovrebbe neppure esistere.
Ciò che invece non possiamo non affrontare, prima di salutarci con questa ultima recensione, è il grande elefante nella stanza: l’addio di Ncuti Gatwa.
Le voci che giravano su Internet avevano, ancora una volta, ragione e giunge così prematuramente a termine anche la corsa dell’attore scozzese nei panni del Dottore. Tra tanti dubbi e domande, compreso un sospetto che riguarda certe idee politiche non gradite alla BBC, quello che rimane è una grande amarezza. Perché Gatwa aveva davvero risollevato la serie, infondendola di una freschezza e una novità più in linea con il mondo contemporaneo. Perché anche se i tempi d’oro del trittico Tennant-Smith-Capaldi è finito e dobbiamo rassegnarci, comunque si è trattato di due annate superiori a quelle di Jodie Whittaker. Che tra l’altro ci regala anche un simpatico cameo in questo finale. Con buona pace di chi è riuscito ad apprezzarla nel ruolo.
Ricorderemo il Quindicesimo Dottore per la sua esuberanza, la sua gioia di vivere, la sua eccentricità e la sensibilità fuori dal comune.
Un’empatia che non ha precedenti e che avrebbe davvero avuto bisogno di più tempo per essere valorizzata ed esplorata. Alla fine si tratta del mandato più breve della storia di Doctor Who e un altro potenziale totalmente sprecato. Il ritorno di Billie Piper può funzionare? Francamente no. perché se l’intento di Russel T. Davies fosse stato davvero quello di rinnovare la serie e cominciare da zero, la scelta di affidarsi a un (altro) volto del passato stona alquanto. Rimangono poi troppe domande irrisolte e altrettanti personaggi che, a questo punto, non trovano più posto nel quadro generale: Rogue, Kid, Susan e persino la Rani di Archie Panjabi divorata in un sol boccone.
Eppure due elementi tengono la nostra curiosità accesa, e per fortuna. Il primo è che rigenerandosi il Dottore di Gatwa spara nell’universo raggi di energia time lordiana che forse non sono stati inseriti tanto a casaccio. La seconda è che, se si leggono bene i titoli di coda, il nome di Billie Piper non viene associato a quello del prossimo Dottore. Doctor Who sta solo celebrando se stesso o l’apertura a un reale cambiamento è ancora possibile?
The post Doctor Who 15 – La Recensione di un finale di stagione che lascia l’amaro in bocca appeared first on Hall of Series.