I giudici devono essere freestyler?

una questione sempre aperta Negli ambienti del freestyle il tema è tutt’altro che nuovo, e da anni anima discussioni tra gli addetti ai lavori. Gli stessi freestyler, spesso, hanno posizioni divergenti. Arcy, ad esempio, nella sua All Bars contro Keso... The post I giudici devono essere freestyler? appeared first on Freestyle Rap Italiano.

Jun 17, 2025 - 20:15
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I giudici devono essere freestyler?

una questione sempre aperta

Negli ambienti del freestyle il tema è tutt’altro che nuovo, e da anni anima discussioni tra gli addetti ai lavori. Gli stessi freestyler, spesso, hanno posizioni divergenti. Arcy, ad esempio, nella sua All Bars contro Keso ha dichiarato di aver già discusso la questione con diversi membri della scena, la maggior parte dei quali concordava con la sua visione: quella, cioè, dell’ex freestyler fiorentino oggi poetry slammer, secondo cui il giudizio dovrebbe restare saldamente nelle mani di chi pratica o ha praticato l’improvvisazione.


Altri MC, come Debbit, si sono invece dichiarati apertamente contrari a una visione così chiusa e autoreferenziale, sostenendo la necessità – per la crescita della disciplina – di aprire le porte anche a figure esterne al mondo del freestyle.

Il freestyle come arte: il problema in termini generali

Ma partiamo da un presupposto che sembra essere condiviso quasi all’unanimità da chiunque frequenti questo ambiente: il freestyle è un’arte.

O, se vogliamo evitare assiomi troppo rigidi, possiamo almeno dire che è una forma d’espressione che si serve di più linguaggi artistici: musica, poesia – intesa in senso lato – e recitazione, o meglio, attorialità.

Volendo aggiungere un’ulteriore sfumatura, si potrebbe dire che il freestyle, nella sua dimensione di contest, assume anche i tratti di uno sport da combattimento: una sorta di wrestling improvvisato, senza copione.”


Da questa constatazione la risposta sembrerebbe quasi ovvia: nel mondo dell’arte (o dello sport) non è mai stato necessario che il critico o il giudice fossero anche praticanti. Analizzare un’arte e praticarla sono due capacità diverse e non sempre intercambiabili. Sarebbe come pretendere che un critico cinematografico debba per forza essere regista, o che un grande allenatore debba essere stato un grande calciatore.

Anzi, c’è chi sostiene che l’essere freestyler in prima persona possa addirittura compromettere l’imparzialità del giudizio critico: il rischio è di lasciarsi influenzare dal proprio modo di intendere la disciplina, favorendo inconsciamente chi adotta uno stile simile al proprio – o al contrario, chi ne sceglie uno opposto, perché magari stupisce proprio in virtù di ciò che non si saprebbe fare.

Perché i giudici dovrebbero essere freestyler

Tralasciando le polemiche – che riteniamo poco produttive ai fini di questa discussione – legate a possibili favoritismi da parte di un giudice verso membri della propria crew o abituali compagni di allenamento, va comunque riconosciuto che, soprattutto in una forma d’espressione come il freestyle, chi pratica o ha praticato attivamente può offrire prospettive e strumenti di analisi difficilmente accessibili a chi non ha mai vissuto direttamente il circuito delle sfide competitive.

Al di là degli aspetti più “visibili” come metrica, incastri, punchline, delivery, flow o attinenza al contesto, un freestyler è in grado di riconoscere molto più facilmente certe sfumature che sfuggono all’orecchio esterno. Un esempio? Le cosiddette rime “di repertorio”: non per forza preparate a tavolino, ma frutto di allenamento, pensate e magari riciclate da altre battle o contesti simili. Riconoscere questi pattern, coglierne l’origine e il grado di originalità, alcune volte richiede un occhio – e un orecchio – allenato proprio su quel campo.

C’è poi una questione più concreta e strutturale: al momento, non ci sono reali alternative.
Il freestyle resta una nicchia troppo ristretta per aver sviluppato figure professionali ad hoc, come giudici o critici “esterni” ma specializzati, capaci di garantire quella competenza necessaria senza dover per forza aver calcato un palco con un microfono in mano.


Per avere la certezza che chi siede in giuria conosca sia gli aspetti tecnici sia il contesto culturale (con tutto il bagaglio di inside jokes, riferimenti e codici impliciti che un esterno difficilmente coglierebbe appieno), la soluzione più semplice e diretta è proprio quella di scegliere un freestyler o ex freestyler.

Detto questo, non mancano eccezioni. Ci sono figure che, pur non essendo freestyler in senso stretto, sono state chiamate a giudicare per il loro ruolo consolidato nella scena: organizzatori, host, promoter che da anni vivono l’ambiente da dentro, pur senza salire in pedana.
Basti pensare a Rango di End of Days, Carbo di Carpe Riem, o banalmente a Mastafive, creatore del tecniche perfette e di mille altre realtà.


Probabilmente, la soluzione più equilibrata – e meno incline a suscitare polemiche – sarebbe la costruzione di giurie miste, composte sia da freestyler che da esperti o addetti ai lavori provenienti da altri ambiti della disciplina (organizzatori, host, articolisti o rapper particolarmente preparati).
Un mix del genere garantirebbe uno sguardo tecnico ma anche un’apertura verso visioni più ampie, evitando sia l’autoreferenzialità del circuito che l’incompetenza di chi ignora le dinamiche del freestyle competitivo.

Perché è utile avere giudici esterni

Ma le vere polemiche, quelle che incendiano discussioni e thread ogni volta, nascono quando i giudici provengono completamente dall’esterno del freestyle.
Non è una situazione ipotetica: è già accaduta più volte. Basta ricordare MTV Spit, con figure come Morgan, il Mic Tyson 2019 con Salmo e Dikele in giuria, o la più recente Double Trouble 2024 con Guè Pequeno tra i giudici.

I rischi di queste scelte sono evidenti e, in parte, li abbiamo già accennati:
scarsa conoscenza degli aspetti tecnici specifici delle battle (non basta saper scrivere punchline o tenere il flow su disco per saper valutare chi lo fa in freestyle in un contesto di sfida), difficoltà nel cogliere gli inside jokes e il codice implicito con cui spesso si costruiscono barre memorabili, scarsa consapevolezza delle “rime di repertorio” o di allenamento, che solo chi pratica freestyle riesce davvero a individuare.

Tuttavia, c’è un rischio anche nel voler estromettere in modo perentorio chiunque non sia un freestyler o un fan hardcore della disciplina: quello di trasformare il circuito in una realtà troppo chiusa, autoreferenziale, incapace di aprirsi e di evolversi sia stilisticamente che mediaticamente.

Forse, ogni tanto, ai freestyler serve proprio confrontarsi con giudici “esterni” – magari disorientati, magari poco preparati tecnicamente – ma rappresentativi di un pubblico più largo.
Perché se davvero il freestyle vuole crescere come disciplina artistica e culturale, deve riuscire ad attrarre anche chi non lo conosce, a incuriosire e stupire anche chi si imbatte quasi per caso in questo mondo.
E questa è anche una prova di maturità per ogni MC:
“Riesco a spaccare anche davanti a chi non sa nulla di freestyle?”
“Riesco a intrattenere e colpire senza dover per forza fare riferimenti interni o tecniche che solo gli addetti ai lavori possono apprezzare?”

Dopotutto, il freestyle nasce come ramo dell’MCing, una delle quattro arti fondanti dell’hip hop, la cui essenza è sempre stata quella di saper tenere il palco, intrattenere il pubblico, trasmettere qualcosa anche a chi non conosce i codici profondi della cultura.
Ridursi a parlare solo ai “già convinti” rischia di limitarne portata e potenziale.

Conclusione: una questione senza soluzione definitiva

In definitiva, la questione rimane aperta e probabilmente destinata a far discutere ancora a lungo.
Perché non esiste una formula perfetta, né una soluzione valida per ogni contesto: ogni scelta – giuria tecnica interna, giuria esterna, giuria mista – porta con sé vantaggi e rischi, prospettive diverse e differenti margini di errore.

Forse il vero equilibrio sta proprio nella consapevolezza di questi limiti, nell’accettare che il freestyle, come ogni forma d’arte viva, non può essere giudicato solo con criteri meccanici o tecnici, né può pretendere di chiudersi in una bolla autoreferenziale che respinge tutto ciò che le sta intorno.
Aprirsi o chiudersi? Conservare l’identità di circuito o puntare alla crescita culturale e mediatica? Scegliere l’esperienza diretta o lo sguardo esterno?
Domande che, probabilmente, ogni organizzatore e ogni MC dovrà continuare a porsi, battle dopo battle, stagione dopo stagione.

D’altronde, il bello del freestyle è anche questo:
non esistono mai certezze assolute.
Solo sfide da affrontare.

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