The Patient: la claustrofobica oppressione del lato oscuro
Nel panorama delle serie thriller di stampo psicologico, poche opere riescono a evocare un senso di latente angoscia e soffocamento come The Patient. Creata da Joel Fields e Joe Weisberg, la miniserie trasmessa su Hulu e Disney+, si distingue per la sua ambientazione ristretta e per l’intenso duello psichico tra i due protagonisti. Parliamo del… Leggi di più »The Patient: la claustrofobica oppressione del lato oscuro The post The Patient: la claustrofobica oppressione del lato oscuro appeared first on Hall of Series.

Nel panorama delle serie thriller di stampo psicologico, poche opere riescono a evocare un senso di latente angoscia e soffocamento come The Patient. Creata da Joel Fields e Joe Weisberg, la miniserie trasmessa su Hulu e Disney+, si distingue per la sua ambientazione ristretta e per l’intenso duello psichico tra i due protagonisti. Parliamo del Dott. Alan Strauss, un terapeuta sequestrato, e il suo carceriere Sam Fortner, un serial killer in cerca del suo aiuto, per redimersi una volta per tutte. L’intera narrazione, così, si svolge in uno spazio ridotto, una stanza chiusa a chiave in cui Alan è prigioniero e legato da una catena al pavimento. A tal proposito, questa scelta estetica non è casuale.
Lo spettatore si trova infatti immerso nella stessa oppressione del protagonista, percependo ogni dettaglio del piccolo ambiente come una barriera soffocante. La claustrofobia diventa non solo un elemento visivo, ma anche psicologico, riflettendo la condizione mentale sia del terapeuta che del suo paziente-carceriere. Pertanto, ogni elemento della scenografia, dagli oggetti minimi e spogli, ai toni cupi e neutri, contribuisce a intensificare il senso di confinamento. Non a caso, The Patient si distingue di gran lunga dagli altri thriller dello stesso stampo (qui le più brillanti serie appartenenti al genere). Si rivela essere, infatti, un’esplorazione profonda della psiche umana, in cui Sam non è il classico serial killer stereotipato. Piuttosto, è un uomo tormentato dai propri impulsi omicidi e incapace di controllarli, nonostante un’apparente volontà di guarire.
Soltanto alla fine, la causa delle sue compulsioni, emerge con letale prepotenza
Per un figlio, un bambino inerme e necessariamente innocente, deve essere impossibile accettare e sopportare il male fisico e spirituale perpetrato costantemente dalla figura del padre. Ciò detto, sarebbe stato quasi strano se Sam, nel tempo, fosse riuscito a trovare un’alternativa diversa con ingegno e lucidità. Tuttavia, The Patient non vuole di certo spezzare una lancia in suo favore. Cerca però, in più occasioni, di non puntare mai il dito contro di lui, mostrando spesso l’altra faccia della medaglia.
Così come, contrastante è l’opinione che vuole trasmettere del Dott. Strauss (per voi un confronto tra 3 serie sulla psicoterapia). Ad un certo punto, in effetti, diventa difficile da discernere il suo modus operandi. Tale da non riuscire più a comprendere se avesse a cuore il dovere professionale di aiutare Sam o soltanto la riappropriazione della sua libertà, annessa alla riconciliazione con la sua famiglia. Non dobbiamo porre in secondo piano, infatti, il suo profondo senso di colpa per il figlio Ezra e di perdita per l’amata moglie.
Si instaura perciò un rapporto ambiguo, in cui i confini tra vittima e carnefice diventano sfumati. L’evoluzione della loro interazione mostra come anche la persona più razionale possa essere trascinata in un vortice psicologico logorante, mettendo alla prova le sue convinzioni etiche e professionali. Non a caso, la serie ci spinge a riflettere sulla complessità della natura umana, ponendo interrogativi sulla possibilità del cambiamento e sulla responsabilità individuale nei confronti del proprio lato oscuro. Per questo, il suo ritmo è volutamente anticlimatico, alle volte, e complice dell’angoscia generale. I dialoghi, di contro, sono sempre misurati e carichi di tensione, creando un’atmosfera di costante pericolo, in cui ogni parola potrebbe essere l’ultima.
Anche la colonna sonora minimalista e la fotografia spenta sono strategiche in The Patient
Entrambe, di fatto, enfatizzano ulteriormente la sensazione di isolamento, attraverso una regia volta all’uso sapiente di silenzi e pause. Ecco, dunque, che tutto viene amplifica per lo spettatore, tanto da immergerlo in un’esperienza quasi sensoriale, in cui l’ansia e il terrore diventano palpabili. Ma è arrivando sul finale, che si materializza tutto e il contrario di tutto. Proprio a questo punto, più degli altri, ci sentiamo sopraffatti dalla nebbia che può avvolgere l’interiorità, trasformandosi in un peso sul petto devastante.
Pertanto, non assistiamo a una risoluzione catartica, ma a una riflessione sulla natura umana, sul libero arbitrio e sull’inevitabilità del destino. E rimane soltanto una sensazione di vuoto e inquietudine relativa al concetto di redenzione e al prezzo da pagare per affrontare i propri demoni interiori. Sam, pertanto, aveva il bisogno viscerale di compiere il suo ultimo crimine. E strangolando Alan, come suo solito, gli ha fatto trascorrere gli ultimi istanti di vita, in uno spazio ancora più angusto e rarefatto della stanza in si trovava ormai da giorni.
La metafora dell’ossigeno che viene meno (qui un focus su Oz: la serie più claustrofobica di sempre), che annebbia la mente e ferma i battiti, così, riesce con forza a fornirci l’identikit di un serial killer che non utilizza cruenti metodi di morte. E lo stesso empatizzare con il suo problema e la bramosia di risolverlo, ci mettono in una situazione tanto scomoda, da farci sperare in un vacuo miglioramento che verrà ribaltato proprio nell’ultima battuta di The Patient.
Pertanto, la serie ci fa sorgere quesiti su chi è in grado di essere davvero l’uomo
Ma, in particolar modo, questa ci mette di fronte a una delle nostre fobie più grandi: non poter mai veramente sfuggire a noi stessi. E in ultima analisi, ci fa rendere conto di quanto la terapia possa diventare un’arma a doppio taglio. Una medicina alle volte indispensabile, per chi ne sa fare tesoro, o un veleno letale per chi non si predispone a essa nel profondo. A questo punto, ciò che è consigliabile fare nei confronti di un’opera della portata di The Patient, è sicuramente metabolizzarla e non limitarsi ad una sola visione.
Alla stregua dei più grandi cult di spessore, come può essere Breaking Bad (ecco un articolo sul rewatch della serie), all’interno di una scrittura tanto pregiata e criptica, si nascondono significati altri che rimangono invisibili a primo impatto. E come tali, dunque, richiedono di diventare oggetto di studio e di analisi su più fronti. Poiché, seppure le storie farcite d’azione, sentimentalismo e jump scares risultino più accattivanti, sono i flussi come questo a lasciare davvero il segno nell’animo di chi guarda. Sanno suonare quelle note dolenti che soltanto le creature umane riescono a percepire. Oppure, nella maggior parte dei casi, a stonare.
The post The Patient: la claustrofobica oppressione del lato oscuro appeared first on Hall of Series.