The Last of Us 2×07 – È il finale di stagione che ci meritiamo?
ATTENZIONE: seguiranno spoiler sul settimo episodio di The Last of Us 2 “Everything’s got a moral. If only you cand find it” Forse non è affatto vero che la verità ci rende liberi. Semmai ci rende sfortunatamente consapevoli delle nostre manchevolezze e dei nostri sbagli. Costretti dalla divina Conoscenza a guardarci nello specchio, senza che… Leggi di più »The Last of Us 2×07 – È il finale di stagione che ci meritiamo? The post The Last of Us 2×07 – È il finale di stagione che ci meritiamo? appeared first on Hall of Series.

ATTENZIONE: seguiranno spoiler sul settimo episodio di The Last of Us 2
“Everything’s got a moral. If only you cand find it”
Forse non è affatto vero che la verità ci rende liberi. Semmai ci rende sfortunatamente consapevoli delle nostre manchevolezze e dei nostri sbagli. Costretti dalla divina Conoscenza a guardarci nello specchio, senza che possa sfuggirci in alcun modo quel torto subito, quell’offesa recata, quella mancanza che abbiamo ricevuto e che siamo pronti a elargire a nostra volta. La “beata ignoranza” non sorride a chi ha deciso di abbracciare la verità, non c’è niente di beato nel renderci conto che il nostro punto di vista non è per nulla superiore a quello degli altri. Ed è con questa amara consapevolezza che si apre il settimo e ultimo episodio della seconda stagione di The Last of Us (disponibile sul catalogo Sky). Una consapevolezza che ha aperto gli occhi di Ellie, da troppo tempo rivolti solo in basso, al suo piccolo orticello.
Rivelando a Dina la verità delle verità, quella che riguarda lei, il virus e i Firefly, Ellie non si libera per niente di un peso. Lo scaraventa, invece, sul cuore della povera innamorata, sconvolta dalla rivelazione, e sulle proprie spalle. Perché nel momento in cui quella verità viene pronunciata ad alta voce (già nello scorso episodio da Joel nel flashback e da Nora) acquisisce una concretezza dalla quale non è proprio possibile tornare indietro. Si, Ellie è immune e si, potrebbe essere lei la cura se solo Joel l’avesse lasciata in sacrificio sull’altare della scienza medica. Così però non è stato, optando invece per un massacro che si è abbattuto in maniera karmica sullo stesso Joel. Quella violenza efferata, solo parzialmente giustificabile, diventa adesso per Ellie chiara come il sole. Perché, come lei stessa ha specificato, uccidere, in fondo, è davvero semplice.
La morte di Nora nel sesto episodio di The Last of Us riflette, in maniera speculare, quella di Joel per mano di Abby costruendo un ponte tra queste protagoniste. Entrambe orfane, entrambe con seri problemi di gestione della rabbia ed entrambe consumate dalla vendetta.
“Because everything you do, you do for you”
Potremmo immaginare che con al gravidanza di Dina, la scelta di Joel sia più comprensibile, che le priorità di Ellie siano cambiate. Non è così. Basta un indizio piazzato nel posto giusto, una pista che la metta sulla strada giusta per Abby che Ellie non ci pensa due volte a mandare a quel paese la comunità per realizzare la sua personale vendetta. Insieme a Jesse, la ragazza si addentra nel cuore di Seattle, nell’occhio del ciclone della guerra intestina tra W.L.F e Serafiti. Lasciata Dina al sicuro al teatro abbandonato, il loro scopo è ricongiungersi con Tommy e ritornare finalmente a casa. Jesse ci prova a farle capire che non possono più rischiare, che soprattutto lui non ha intenzione di farlo. Spesso il dovere deve venire prima dei nostri desideri. Soprattutto nel loro mondo.
C’era una volta una ragazza nata e cresciuta in un mondo distrutto.
Un mondo in cui ogni carezza corrisponde a una pugnalata e legarsi troppo a qualcuno corrisponde alla sua condanna a morte. Soprattutto per i padri, che fanno davvero una brutta fine in The Last of Us. Quella ragazza ne aveva trovato uno, inaspettatamente e in maniera brutale. Aveva trovato un uomo da chiamare padre, che si prendesse cura di lei, a costo di mettere a rischio il mondo intero pur di salvarle la vita. E come ogni fiaba che si rispetti, anche questa prevede un antagonista. Il suo nome è Abby. Abby distrugge la realtà della ragazza, la mette a soqquadro, trasformandola in una specie di antieroe da romanzo ottocentesco. La speranza si trasforma in rabbia, il dolore in sete di vendetta.
Affrontando ostacoli e avversità, la ragazza giunge infine alla meta. Salvo rendersi conto che la vita non è affatto una fiaba e che il confine tra buoni e cattivi è molto più sottile di quanto immagini. Inseguendo la sua balena bianca, la ragazza pecca di hybris, convinta che il Bene sia solo quello che concerne lei e le persone a lei vicine. Eppure, di fronte al corpo senza vita di una donna incinta, ancora una volta Ellie capisce di aver frainteso tutto. Buoni e cattivi sono facce della stessa medaglia, il loro ruolo muta come una banderuola al vento. C’è una frase bellissima, nascosta in bella vista, che si staglia sopra la testa di Ellie come una spada di Damocle, profezia di una tragedia che si compirà di lì a breve: “everything’s got a moral, if only you can find it”.
Quale è dunque la morale di The Last of Us 2? Forse che la vendetta non sana, perché non è un atto di giustizia, solo un modo di evitare il dolore profondo del lutto e dell’impotenza.
E il perdono allora? Non è il lieto fine, forse solo l’ultimo e disperato atto che può rompere il ciclo, quando ormai tutto è stato consumato. La fiaba dark di Ellie prosegue, in questo settimo episodio, mettendola sempre più alle strette, in una corsa a rotta di collo tra le minacce dei W.L.F e dei Serafiti. In mezzo a questo scontro, Ellie rischia più volte di morire fino ad attraversare un mare di acqua che segna un punto di svolta da cui non è possibile tornare indietro. Una traversata in barca che non può non ricordarci un certo racconto biblico, oltre che il notevole romanzo di Herman Melville (notevole è ovviamente un ironico eufemismo).
“Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e ne venne in mare una tempesta tale che la nave stava per sfasciarsi.”
Dio ordina al profeta Giona di andare a Nìnive, grande città nemica d’Israele, per annunciare il giudizio divino a causa della loro malvagità. Ma Giona, anziché rispondere a questa chiamata, fugge. Si imbarca su una nave diretta a Tarsis, il più lontano possibile dal compito che gli è stato affidato. Il viaggio in mare diventa subito tumultuoso: una tempesta violenta scuote la nave e terrorizza l’equipaggio. I marinai, nel disperato tentativo di salvare la nave, scoprono che la causa della tempesta è proprio Giona, colui che si è sottratto a Dio. Giona, con un gesto radicale, chiede di essere gettato in mare: accetta la propria colpa, si offre come capro espiatorio.
Appena Giona viene gettato in acqua, la tempesta si placa. Ma nel fondo del mare non trova la morte. Un grande pesce, inviato da Dio, lo inghiotte e in quel ventre marino Giona rimane per tre giorni e tre notti.
Alla fine di quel tempo, il pesce lo vomita sulla riva. Giona è salvo, ma non più lo stesso. Quando Dio lo chiama una seconda volta, il profeta obbedisce. Raggiunge Ninive e annuncia il castigo. Nel mito di Giona, il profeta fugge da un compito etico che lo spaventa, quello di annunciare la misericordia di Dio a una città nemica. Anche Ellie, in un certo senso, fugge, bensì non da Dio, ma da sé stessa, dalla possibilità di elaborare il lutto per Joel, dalla necessità di accettare ciò che è accaduto. Si rifugia nella logica della vendetta, che le fornisce un ordine, un obiettivo, una maschera.
Come Giona, Ellie intraprende un viaggio violento e caotico e come lui, finisce “nel ventre della balena”. Non solo fisicamente, dato che si ritrova in una zona di guerra, ma soprattutto simbolicamente. Eppure, diversamente da Giona, Ellie deve faticosamente maturare il gesto del perdono mettendosi nei panni dell’altro. Il perdono nasce da quella maledetta consapevolezza, di cui parliamo dall’inizio di questo articolo, che rimette in discussione ogni preconcetto della protagonista di The Last of Us.
La traiettoria di Ellie, parallela a quella di Achab in Moby Dick, disegna una spirale ossessiva in cui il desiderio di vendetta si trasforma in una guerra privata contro un nemico che incarna più di un semplice essere umano.
Per Ellie, Abby diventa la balena bianca, l’unico nemico da abbattere per dare senso a una perdita insensata. Ma, come succede anche nel romanzo di Herman Melville, The Last of Us ci dimostra che l’ossessione non porta alla verità, ma solo a distruzione. Ellie non trova pace uccidendo, non trova Joel, non trova sé stessa. Come Achab, è disposta a sacrificare tutto per inseguire quel simbolo e proprio come Achab, arriva alla fine sconfitta, ma viva e quindi costretta a convivere con ciò che è diventata.
The Last of Us 2 si chiude così. Il punto di arrivo (forse) del percorso di Ellie coincide con il punto di partenza di quello di Abby.
The post The Last of Us 2×07 – È il finale di stagione che ci meritiamo? appeared first on Hall of Series.