Zero Day è un’elegante piroetta tra diversi sottogeneri del thriller
Il seguente articolo contiene SPOILER su Zero Day. In un panorama televisivo sempre più affollato da prodotti thriller che spesso si adagiano sui classici canoni, Zero Day (che potete recuperare qui) emerge come un oggetto narrativo particolarmente affascinante. Il motivo? Rispetto alle altre serie, riesce a schivare qualsiasi classificazione fissa. Con la sua struttura a… Leggi di più »Zero Day è un’elegante piroetta tra diversi sottogeneri del thriller The post Zero Day è un’elegante piroetta tra diversi sottogeneri del thriller appeared first on Hall of Series.

Il seguente articolo contiene SPOILER su Zero Day.
In un panorama televisivo sempre più affollato da prodotti thriller che spesso si adagiano sui classici canoni, Zero Day (che potete recuperare qui) emerge come un oggetto narrativo particolarmente affascinante. Il motivo? Rispetto alle altre serie, riesce a schivare qualsiasi classificazione fissa. Con la sua struttura a spirale e la costante metamorfosi dei toni, rappresenta una vera e propria piroetta tra i sottogeneri del thriller. Si parte da un impianto che sembra psicologico per poi scivolare nel terreno del thriller politico. La trama poi tocca la fantascienza con mano concreta per atterrare, infine, in un climax dal sapore molto più umano tipico del dramma esistenziale. Quella di Zero Day, comunque, è un’evoluzione coerente, nonostante la complessità, che riflette la natura sfaccettata della minaccia che la serie mette in scena. Una minaccia invisibile, intangibile, e proprio per questo devastante.
La trama di Zero Day è piena di sfaccettature che omaggiano il genere thriller in tutte le sue forme (e trova l’appoggio del maestro Stephen King)
Un’opera complessa come Zero Day, che parte da un pretesto narrativo quasi banalizzato al giorno d’oggi, aveva bisogno di uno sviluppo articolato per spiccare nel mare magnum della serialità moderna. Robert De Niro guida un cast stellare che, tuttavia, non può essere l’unico traino per il pubblico. Col senno di poi sembra quasi che la forza del cast, in realtà, abbia finito per oscurare il notevole lavoro in fase di scrittura. Parliamo di struttura, più che di personaggi. E nello specifico dell’elegante e silenziosa commistione di generi presente in Zero Day. Il ruolo di De Niro, fin dall’inizio (ci riferiamo soprattutto all’imprevedibile finale del pilota della serie) è quello di orientare il pubblico su una sottotrama psicologica. Il personaggio di George Mullen soffre un po’ il peso di essere l’assoluto protagonista, ma il suo ruolo è proprio quello di veicolare lo spettatore nei continui cambi di direzione che la trama assume.
Alla fine del primo episodio il pubblico apprende che George Mullen sta cominciando a soffrire di demenza senile. Tutta la trama di Zero Day, dopo questa scoperta, assume una forma completamente diversa. La prima puntata della serie è frenetica, caratteristica del classico thriller politico in cui sembra che il mondo intero sia sull’orlo di un precipizio. Eppure, quel finale così inaspettato e distaccato fa rivalutare l’intero episodio. Chi è veramente George Mullen? E che impatto può avere la sua malattia su ciò che stiamo vedendo? La trama insinua questo dubbio e lo porta avanti sotto forma di vero e proprio trip narrativo. Le sempre più frequenti visioni di Mullen alimentano il senso di spaesamento, ma la chiave politica la fa da padrone. Tra tutti i sottogeneri presenti in Zero Day, quello del political drama è il più costante. In questo senso, la facciata della serie non tradisce le aspettative.
Ma un political di queste dimensioni ha bisogno di qualcosa in più per lasciare il segno
La trama si espande e lascia intravedere la rete istituzionale che circonda il protagonista. A questo punto, Zero Day indossa il vestito del thriller politico e lo fa con piena consapevolezza. La regia si apre a nuove prospettive, e lo spettatore viene condotto nei corridoi del potere, tra CIA, NSA e figure governative su cui aleggia lo spettro della corruzione. L’attenzione si sposta dall’individuo al sistema, dalla soggettività del protagonista all’organizzazione. Il focus psicologico si dissolve in una cornice più ampia: la crisi passa dall’essere tecnologica a ideologica. Ciò che interessa allo spettatore è abbattere il confine tra sicurezza nazionale e controllo e scoprire chi davvero decide ciò che è vero. La serie, qui, affonda le mani nell’etica politica, e ci riesce senza retorica. Il ritmo cresce, i dialoghi si fanno più densi e, soprattutto, i personaggi secondari acquistano tridimensionalità. L’evoluzione della trama, strutturalmente, passa soprattutto dall’iniziale individualità a un racconto corale.
Il nemico prende finalmente forma: tutto lascia pensare che la minaccia sia umana, costruita nei laboratori del potere. Ma è proprio quando il pubblico inizia a pensare di trovarsi davanti a un’analisi profonda della politica contemporanea che Zero Day compie la sua svolta più audace. Con un twist inaspettato, anticipato solo da piccoli indizi disseminati nei primi episodi, la serie sposta l’attenzione su un elemento di tecnologia avanzata. Elemento al limite del plausibile che scompagina le carte in tavola. Senza scadere nel futurismo spettacolare alla Black Mirror, Zero Day semina con discrezione l’idea che la mente del protagonista non sia più affidabile. Inizialmente lo spettatore è portato a pensare che ciò sia dovuto all’età, allo stress o ai traumi pregressi. Ma andando avanti, emergono indizi più sinistri, collegati a un possibile uso di un agente esterno. Presumibilmente un gas neuroattivo capace di alterare percezione, memoria e discernimento.
Ma è soltanto verso la sua naturale conclusione che Zero Day rivela la sua forma più autentica: quella di un dramma profondamente umano
A questo punto che la narrazione si restringe nuovamente, chiudendo il suo cerchio naturale. Dopo l’apertura psicologica, l’allargamento politico e l’incursione sci-fi, Zero Day conclude il suo arco evolutivo con un ritorno all’individuo. Stavolta non più come figura enigmatica o sospetta, bensì come uomo spogliato di ogni potere. Il climax non è esplosivo nel senso classico del termine: il vero punto di rottura è intimo, silenzioso. Il protagonista, i cui drammi familiari lo hanno portato a compiere scelte complesse in passato, ha la possibilità di redimersi. Una possibilità estremamente complessa da percorrere e che implica andare contro la sua stessa famiglia. Ma è proprio grazie a uno sforzo introspettivo e personale che George Mullen trova la via, l’unica percorribile. Il finale di Zero Day è molto umano, sicuramente imprevedibile rispetto ai presupposti iniziali della trama.
Zero Day non è una serie che si lascia incasellare facilmente (qui trovate la nostra recensione completa). La sua forza sta proprio nella capacità di spostarsi con eleganza e precisione tra i sottogeneri, senza però perdere coerenza o intensità. Gli strumenti a sua disposizione – regia, scrittura e interpretazioni – sono privilegiano tutti una tensione sottile rispetto al classico colpo di scena del thriller. Il risultato è un climax che approda a una riflessione drammatica sull’impotenza dell’individuo di fronte alla complessità del reale. In un tempo in cui la stessa realtà sembra manipolabile, Zero Day ha il coraggio di restituire allo spettatore un senso di spaesamento specchio della nostra epoca. E lo fa con quella precisione chirurgica e silenziosa che rende il thriller uno dei generi più amati dal pubblico.
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