Good American Family è un horror che non sfocia mai nel terrore
Il seguente articolo contiene SPOILER su Good American Family. Good American Family è una delle serie più sorprendenti di questo 2025. Disponibile su Disney+ dallo scorso 9 aprile (la potete trovare qui), ha letteralmente travolto il pubblico grazie al clima di tensione tipico degli horror. La trama, ispirata a una storia vera, ricorda molto quella… Leggi di più »Good American Family è un horror che non sfocia mai nel terrore The post Good American Family è un horror che non sfocia mai nel terrore appeared first on Hall of Series.

Il seguente articolo contiene SPOILER su Good American Family.
Good American Family è una delle serie più sorprendenti di questo 2025. Disponibile su Disney+ dallo scorso 9 aprile (la potete trovare qui), ha letteralmente travolto il pubblico grazie al clima di tensione tipico degli horror. La trama, ispirata a una storia vera, ricorda molto quella del film Orphan, anch’essa tratta da personaggi realmente esistiti e, inoltre, citata nella stessa serie. Il punto forte di Good American Family è proprio quel senso di tensione che ingabbia il pubblico fin dai primi momenti ma che, nel corso degli episodi, si trasforma in qualcosa di completamente inaspettato. Un horror senza mostri e senza veri e propri colpevoli esplicitati, che lascia intendere e che gioca proprio sulle impressioni degli spettatori.
Quello di Good American Family è un tipo di orrore differente: non grida, non sanguina, non insegue vittime nei boschi o nei sogni
È un orrore silenzioso, domestico, imbellettato da buone maniere e cene ben apparecchiate alla vecchia maniera. Un orrore che cresce sotto la superficie della quotidianità americana fino a diventare una presenza costante e impossibile da ignorare. Good American Family ha silenziosamente conquistato critica e pubblico grazie a un senso di inquietudine strisciante. Ed è proprio il suo non sfociare mai in ciò che tutti si aspetterebbero che spinge la trama ad ancorarsi più in profondità nella psiche dello spettatore. Ispirata al controverso caso reale della famiglia Barnett e di Natalia Grace, questa serie racconta una vicenda così assurda da sembrare fittizia. Eppure è proprio nella sua ambiguità di fondo che si annida l’inquietudine. Tutto comincia quando Kristine e Michael Barnett adottano una bambina ucraina affetta da una forma rara di nanismo. La piccola Natalia viene accolta nella loro “Good American Family” con amore, sacrifici e l’apparente convinzione di star facendo del bene.
Ma qualcosa non va. Ed è evidente fin da subito. Natalia ha comportamenti strani, atteggiamenti di certo inappropriati per la sua presunta età. O almeno, questo è ciò che pare chiaro al publico fin dall’inizio. La famiglia, in primis Kristine, comincia a sospettare che non sia affatto una bambina, ma una donna adulta che finge di essere una minore. Da lì, una discesa inarrestabile nella paranoia, nel sospetto, e infine nella tragedia legale e soprattutto mediatica. La chiave di lettura della trama, infatti, cambia totalmente quando la risonanza mediatica del caso diventa il vero problema dei Barnett. A fare da contraltare ai problemi di Natalia è la posizione di spicco di Kristine all’interno della sua comunità. L’evoluzione del suo personaggio è altrettanto ambigua rispetto a quella di Natalia. E’ così che Good American Family complica la strada dello spettatore, spingendolo a uscire da ogni passività.
La serie non cerca risposte definitive: non vuole dirci chi ha ragione e chi mente, al contrario, lavora sul dubbio
Ogni episodio fa spostare l’ago della bilancia emotiva, costringendoci a cambiare prospettiva. Nella prima metà della serie – distribuita strategicamente su due tranche – Natalia sembra essere l’unica vera colpevole e viene dipinta come una manipolatrice seriale. Ma nella seconda parte la prospettiva si ribalta completamente. L’ambiguità dei Barnett e l’instabilità domestica che regna all’interno della soltanto apparente “Good American Family” si fa sempre più limpida, abbattendo ogni certezza del pubblico. È proprio in questa zona grigia che la serie costruisce il suo “horror”: nella normalità incrinata e in un concetto di famiglia che diventa coercizione. Nel bisogno disperato di sentirsi “una buona famiglia americana” anche quando tutto intorno implode. Il personaggio di Natalia — interpretato da Imogen Faith Reid, straordinaria nella sua capacità di oscillare tra innocenza e ambiguità — è il vero fulcro della narrazione. La sua età resta un mistero. I suoi traumi, suggeriti più che mostrati, si rivelano nelle piccole crepe del suo comportamento.
Nella mancanza di certezze Good American Family trova la sua forza. Ogni spettatore si ritrova a fare i conti con i propri pregiudizi. Quando Natalia piange può sembrare una manipolatrice ma sa essere anche vulnerabile. Se si pensa, per esempio, all’episodio che racconta le sue difficoltà nell’abituarsi alla vita da adulta, autonoma. È qui che la serie sfiora il cuore del suo discorso: Natalia non è solo una persona, ma un simbolo. Rappresenta tutto ciò che la famiglia americana rigetta: il diverso, l’ambiguo, il non classificabile. D’altro canto, Ellen Pompeo – la pacata e rassicurante Meredith di Grey’s Anatomy – qui si spoglia di ogni empatia per dar vita a Kristine, una madre complessa, anch’essa ambigua, per certi versi inquietante. La sua è una performance trattenuta chirurgicamente: non è mai isterica, né tanto meno sopra le righe, per quanto costantemente pervasa da una tensione silenziosa.
I personaggi svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione di quel clima di tensione che permea la serie (qui trovate la nostra classifica delle migliori serie tv horror)
Kristine non è un personaggio da assolvere o condannare facilmente. È una donna che si sente moralmente nel giusto, o meglio, che vuole costantemente sentirsi tale, anche quando le sue azioni sfociano nell’estremo. E forse è proprio questa convinzione a renderla così inquietante. Mark Duplass, nei panni del marito Michael, gioca invece la carta della fragilità. Il suo personaggio è più incerto, certamente più passivo, ma proprio per questo spinge a riflettere sul ruolo della complicità silenziosa nei sistemi familiari malati. La coppia Barnett funziona perfettamente come specchio deformante della famiglia americana apparentemente perfetta. Si mostrano solidi, sempre sorridenti, altruisti in modo quasi esasperato, eppure incapaci di affrontare l’alterità rappresentata da Natalia. Il titolo stesso, Good American Family, è una dichiarazione ironica. La serie non racconta un personale significato di bontà, né offre una proposta concreta al concetto stesso di “famiglia”.
Good American Family mette in discussione i concetti di genitorialità e i legami affettivi, interrogandosi sull’intero sistema culturale americano. Ciò che dovrebbe essere un rifugio — la casa, la famiglia, ma anche la maternità e la paternità — si trasforma in un meccanismo di esclusione e, soprattutto, controllo. A differenza di un horror canonico, Good American Family non ha bisogno di alcun tipo di mostro, nemmeno nel raccontare il principio di diversità. E’ una serie difficile da etichettare. Non è un true crime puro, anche se si ispira a fatti reali. Non è un horror classico, pur generando sia ansia che inquietudine e non è neanche un semplice drama familiare: è una creatura ambigua. Lo è proprio come i suoi protagonisti, che si muovono costantemente sul ciglio dell’incertezza. E proprio per questo colpisce più in profondità.
The post Good American Family è un horror che non sfocia mai nel terrore appeared first on Hall of Series.