Shatili, il misterioso villaggio incastonato nel cuore del Caucaso

Shatili, gioiello nascosto del Caucaso, incanta con torri medievali, paesaggi selvaggi e misteri antichi. Una guida per esplorarlo.

May 26, 2025 - 04:50
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Shatili, il misterioso villaggio incastonato nel cuore del Caucaso

Nel cuore pulsante del Grande Caucaso, nascosto tra pieghe di monti che sembrano volerlo celare agli occhi del mondo, sorge Shatili: un villaggio tanto reale quanto irreale, un sogno di pietra incastonato tra vallate selvagge. Più che un semplice borgo, si tratta di un intreccio di torri millenarie che sembrano essersi radunate, come guerrieri in assemblea, pronte a fronteggiare ogni invasione, inverno e oblio.

Affacciate sul fiume Arghuni, le torri squadrate si stringono l’una all’altra come antiche sorelle, si arrampicano su un pendio con la stessa ostinazione con cui un popolo fiero ha sfidato secoli di isolamento. Le loro “bocche spalancate”, in forma di verande scure all’ultimo piano, raccontano in silenzio secoli di storia e leggenda.

Ed è proprio qui, tra pietre scolpite e passaggi sospesi, che la Georgia si svela nella sua veste più misteriosa.

Un mosaico di pietra tra mito e montagna

A circa quattro ore da Tbilisi, Shatili non è soltanto un remoto villaggio georgiano edificato tra il VII e il XVIII secolo,: è la porta d’accesso all’anima guerriera della Khevsureti, regione di confine affacciata sulla Cecenia e sull’Inguscezia. La posizione lo rende strategico, ma è la sua costruzione a colpire: torri-abitazione interconnesse, edifici difensivi che si trasformano in case, una vera e propria “fortezza abitata”.

I Khevsur: gli ultimi cavalieri del Caucaso

È impossibile capire Shatili senza conoscerne i custodi, ovvero i Khevsur, montanari fieri, devoti alle tradizioni e alle leggi non scritte, descritti da molti come i “crociati del Caucaso” (leggenda romantica, forse, ma che ben rappresenta la loro aura epica).

Nel 1915, si racconta che cavalcarono fino a Tbilisi con indosso antiche armature e spade al fianco, pronti a combattere nella Grande Guerra. Anche se il mito della loro discendenza occidentale è stato smontato, il rispetto che la Georgia nutre per loro è davvero autentico. Ancora oggi, la loro presenza aleggia tra le torri, nei canti e nei simboli scolpiti sulle soglie.

Un viaggio non facile, ma possibile

Raggiungere Shatili è già un’avventura. Attraversare il passo Datvisjvari è come varcare un confine invisibile tra la modernità e un mondo arcaico. La strada (a tratti asfaltata, a tratti sterrata) serpeggia tra gole e pendii, con curve che si affacciano su precipizi e panorami da togliere il fiato. Un SUV è indispensabile, meglio ancora se guidato da chi conosce queste montagne come il palmo della propria mano.

Non è richiesto alcun permesso speciale per entrare, e nonostante la sua vicinanza con confini delicati, Shatili è sicura. È la natura, semmai, a dettare le regole del viaggio. Le frane e i temporali estivi sono pericoli reali, che impongono prudenza.

E, a proposito di clima, Shatili si apre ai viaggiatori solo d’estate. Da novembre a maggio, la neve e il ghiaccio isolano completamente la regione. È tra fine giugno e inizio settembre che il villaggio si risveglia. Le torri sembrano riemergere dalla nebbia del tempo, e i pochi abitanti che ancora scelgono di vivere qui accolgono visitatori con una discrezione che sa di antico rispetto.

L’estate è anche il momento dei festival locali, come il Mountain Days Festival: celebrazioni che mescolano folklore, fede e orgoglio identitario.

Cosa vedere a Shatili: dove la pietra racconta

Shatili, storico villaggio dell'altopiano in Georgia
Fonte: iStock
Il misterioso villaggio di Shatili

Passeggiare tra le torri è un’esperienza che non si può descrivere a parole: si avanza tra vicoli bui e ripide scalinate, sospesi tra cielo e terra. Le torri, vuote o restaurate, donano scorci sull’architettura difensiva georgiana che non si trovano altrove. Molte sono aperte e visitabili: basta varcare una soglia per essere trasportati in un’altra epoca.

I ponti sospesi tra gli edifici, le feritoie, le scale strette, le incisioni sulle pietre: ogni dettaglio è parte di una narrazione corale. E non mancano i pittogrammi (simboli scolpiti che evocano divinità arcaiche e spiriti protettori), tracce di un sincretismo religioso affascinante. Le torri, qui, non parlano solo di guerra ma anche di fede, di famiglia, di sopravvivenza.

Poco sopra il villaggio, una piccola chiesa ortodossa si affaccia silenziosa sul panorama. È la Chiesa dell’Annunciazione, custode di riti antichi e di una spiritualità che fonde Cristianesimo e culti precristiani. Accanto, un santuario con campane e altari racconta di preghiere sussurrate, di offerte lasciate sotto il sole e la pioggia.

E poco lontano, immersa in una valle ancora più solitaria, ecco la necropoli di Anatori: tre cripte in pietra, ancora oggi visibili, svelano una storia che ha il sapore della tragedia e del coraggio. Quando la peste colpì il villaggio, gli abitanti malati si isolarono da soli nelle cripte per non contagiare gli altri. Le loro ossa sono ancora lì, testimoni di un sacrificio estremo.

E se Shatili vi ha colpito, Mutso vi lascerà senza parole. Più inaccessibile, più aspra, è l’essenza della Georgia ancestrale. Abbandonata, arroccata su una scogliera come un “castello maledetto”, è raggiungibile solo a piedi. Ma ogni passo ripaga lo sforzo: torri che sfidano la gravità, cripte che sembrano scolpite nel vento, e un silenzio che parla più di mille voci.

È la sorella selvaggia di Shatili, la sua ombra e il suo riflesso. E insieme, formano due volti della stessa storia montana che continua a vivere, tra vento, pietra e memoria.