Dieci Capodanni: una serie tv devastante
Dieci Capodanni è una serie devastante, la versione attuale della Meglio Gioventù, che mette di fronte alla cruda realtà un’intera generazione di trentenni con le loro illusioni naufragate. La trovate disponibile gratuitamente su RaiPlay. Ci avevano detto che sarebbe cambiato, che tutto sarebbe stato più chiaro, che avremmo trovato il nostro posto nel mondo. Che… Leggi di più »Dieci Capodanni: una serie tv devastante The post Dieci Capodanni: una serie tv devastante appeared first on Hall of Series.

Dieci Capodanni è una serie devastante, la versione attuale della Meglio Gioventù, che mette di fronte alla cruda realtà un’intera generazione di trentenni con le loro illusioni naufragate. La trovate disponibile gratuitamente su RaiPlay.
Ci avevano detto che sarebbe cambiato, che tutto sarebbe stato più chiaro, che avremmo trovato il nostro posto nel mondo. Che avremmo trovato noi stessi. Ci avevano detto che avremmo avuto un lavoro, forse una famiglia e un amore. Dieci capodanni ci getta nel decennio che si apre coi trent’anni. L’età della consapevolezza, della chiarezza, della via finalmente all’orizzonte, da imboccare senza più tanti dubbi.
El muchacho de los ojos tristes
Vive solo y necesita amor
Ma adesso che abbiamo soffiato le fatidiche candeline, che abbiamo chiuso gli occhi ed espresso un desiderio carico di speranze presenti ci siamo accorti di una cosa. Ci siamo accorti che non è cambiato nulla. E che tutte quelle parole che ci avevano detto, promesse che ci avevano fatto, che ci eravamo detti e fatti, non sono vere. Óscar in Dieci capodanni è un muchaco de los ojos tristes, come il protagonista della celebre canzone. Se ne accorge Ana che prima di tutti, più di tutti è in grado di guardargli dentro. Se ne accorge appena lo incontra, prima di conoscerlo ma già, in fondo, conoscendolo fin troppo bene.
Quello appena trascorso per Óscar non è stato un anno del tutto negativo: un anno “da 6” in pagella. Ha un lavoro come internista che pure gli ruba energie e tempo, un appartamentino in affitto e una relazione naufragata. Ma i suoi occhi tristi tradiscono qualcosa che la semplice somma dei successi e insuccessi dell’anno passato non possono giustificare. Tradiscono il dolore di chi cerca un senso che non sembra trovare.
Óscar galleggia nell’acqua di un mondo liquido. Un mondo senza appigli, senza obiettivi, senza senso.
È il nostro mondo, ed è soprattutto il mondo dei trentenni chiamati a tirare le somme di quasi un terzo di secolo trascorso. E a guardarsi indietro per poi volgersi in avanti, lo sguardo non può che velarsi e le palpebre cedere. Perché dietro di noi c’è la fine dei vent’anni di cui tanto superbamente ci avevano parlato le nostre serie preferite.
Tutte, tutte, ci avevano lasciato lì. Ci avevano mollato nella consapevolezza tremenda che quel tempo non tornerà, che i nostri amici, le feste, l’incoscienza, la spensieratezza e l’irresponsabilità non sarebbero tornate. Eppure tra le spoglie di un appartamento vuoto di Friends e How I Met Your Mother e le future visioni di una vita felice in Scrubs c’avevano illuso che ogni cosa sarebbe cambiata, sì, ma che il cambiamento non sarebbe stato necessariamente un male.
Dieci capodanni ci mostra la realtà. Ci catapulta in quel buco nero al di là dei trent’anni in cui non abbiamo mai avuto il coraggio di entrare. E di colpo abbiamo le fattezze di Óscar e Ana, due persone tremendamente diverse eppure profondamente connesse. Perché entrambe, a modo loro, vivono la fine dell’illusione e il peso dell’età matura. Ana è circondata da amiche che hanno trovato la loro strada mentre lei vaga ancora, come il Bardamu di Céline, senza sosta, irrequieta, in cerca di quel qualcosa che sente di non avere. Di quell’intensità di vita che pare sfuggirle via come acqua dalle mani.
Ana vuole vivere, vuole sperimentare, vuole fermare gli anni, riavvolgerli e scoprire che ancora davanti a lei c’è tutto il tempo del mondo.
Ma non è così: e allora può solo correre, andare dietro a ogni possibilità, saltare da un luogo all’altro da un lavoro all’altro da un amore all’altro. Finché non incontra Óscar. Lei è la prima nata dell’anno, lui uno degli ultimi di fine anno. Due poli opposti -uno chiude e l’altra apre l’anno- eppure vicinissimi, separati solo da pochi minuti. Uniti dal comune sentire, dalla tristezza opaca, ovattata che in Óscar si manifesta in una certa rassegnazione passiva, in Ana nella foga, forse ancor più triste, di inseguire il tempo invidioso che va più veloce di lei.
El muchacho de los ojos tristes
Ha encontrado al fin una razón
Para hacer que su mirada ría
Con mis besos y mi gran amor
Si conoscono, si capiscono, si amano. Ma in mezzo c’è quel decennio assurdo, isterico, angoscioso che va dai trenta ai quarant’anni. C’è il peso di un lavoro incerto e usurante che divora energie e volontà, che non lascia spazio alla libertà, che soffoca i sentimenti allontanando le persone. C’è il peso di un impiego che non soddisfa, di un’incertezza che serpeggia silenziosa e triste in ogni cosa. Non c’è la fiducia, l’attenzione, la cura -e cioè la preoccupazione attenta- nel dedicarsi all’altro. C’è l’insicurezza in se stessi, in ciò che si è e che si vale.
E allora Óscar e Ana si trovano a dover galleggiare senza appigli, a malapena capaci di tenere la testa fuori dall’acqua, costretti a stordirsi di piaceri fugaci che finiscono per mangiarsi vivi gli amici più fragili. Rodrigo Sorogoyen ci aveva già profondamente turbato e avvinto con la regia di As bestas. Ora con Dieci Capodanni ci dà il colpo di grazia. Lentamente, inaspettatamente, dopo alcuni episodi, i primi quattro, interlocutori, la narrazione sale e con essa la regia.
E Dieci Capodanni finisce per devastarci. Perché gli attori semplicemente non recitano più ma impersonano se stessi.
Impersonano i loro dubbi, i dubbi di relazione, le concrete preoccupazioni che distruggono l’amore. C’è un velo che scende pesante da questo momento in poi in Dieci Capodanni. Come quando Ana si isola per un momento da una scena di serena felicità familiare nel settimo episodio quasi per fermare quel momento ma insieme consapevole di non poterne fare parte appieno.
Cómo cambió, amor
Felices éramos los dos
Y ahora lloro, por Dios
Tristeza en mí amaneció

Perché dai trent’anni si è rotto qualcosa. Il tempo dell’illusione non c’è più e inizia quello della delusione e del rimpianto, inevitabile, impossibile da fuggire. E anche la felicità è velata. Dieci Capodanni è una serie devastante nella sua crudele lucidità di analisi. Ma anche catartica nella capacità che ha di catapultarci capodanno dopo capodanno alla soglia dei quarant’anni e aprirci uno scorcio di quello che potrà essere.
El muchacho de los ojos tristes
Vive solo y necesita amor
Como el aire, necesita verme
Como al sol, lo necesito yo
Se c’è una cosa che ci lascia Dieci Capodanni non è la sfiducia verso il futuro o il presente prossimo ma la necessità inevitabile, sconvolgente ma insieme inebriante, maturata dopo dieci anni di trent’anni, di abbandonarci al buco nero.
Gettarci dentro un futuro sconosciuto con una incoerente, forse folle ma necessaria fiducia in tutto ciò che sarà. La cura ai trent’anni non sta nell’inseguimento disperato di esperienze che si teme di non fare e neanche nella rassegnazione stanca di chi si priva di farle quelle esperienze per non rimanere deluso.
Sta nel mezzo, tra Óscar e Ana, tra la fine dell’anno e il nuovo anno, tra le fine dei vent’anni e i nuovi trent’anni, tra foga e disperazione. Sta nell’abbandono all’ignoto e al suo fascino, nella disperante fiducia che vale comunque la pena credere e sperare. Soprattutto nell’altro e nell’amore, anche a costo di rimanerne scottati e feriti. Perché potremmo scoprire che a dare fiducia si ottiene fiducia e a credere nell’amore e nel futuro ci si costruisce amore e futuro. Anche, o forse soprattutto, se non era come ce l’avevano prospettato, come ce l’eravamo immaginato.
A Federico, senza il quale non ci sarà mai il futuro che c’eravamo immaginati
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