Intervista a I Patagarri: “Con ‘L’ultima ruota del caravan’ raccontiamo l’umanità invisibile”

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May 24, 2025 - 18:40
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Intervista a I Patagarri: “Con ‘L’ultima ruota del caravan’ raccontiamo l’umanità invisibile”

Lontani dai riflettori e ancora più lontani dai compromessi, I Patagarri arrivano al debutto discografico con L’ultima ruota del caravan, un album che non cerca scorciatoie e non teme di sporcarsi le mani.

Dieci tracce nate in presa diretta sotto un vero tendone da circo, tra l’odore di birra, legno e terra, negli spazi ruvidi e sinceri della Birreria Le Baladin di Piozzo, in provincia di Cuneo. Il disco – prodotto da Taketo Gohara e pubblicato da Warner Music Italy – è un viaggio musicale e umano tra le voci e le vite di chi spesso viene lasciato indietro, ma senza cui il “caravan” del mondo non potrebbe andare avanti.

Non ci sono patinature né edulcorazioni: i Patagarri raccontano storie ai margini, con suoni “sporchi”, cori registrati con un solo microfono e strumenti che si intrecciano come i pensieri confusi di chi ha ancora qualcosa di urgente da dire. In occasione dell’uscita del disco, abbiamo incontrato la band per farci raccontare la genesi di questo progetto fuori dagli schemi, e per scoprire cosa significa oggi suonare con autenticità.

Di seguito la tracklist de “L’ultima ruota del caravan”:

  1. Diavolo
  2. Sogni
  3. Willy
  4. Io non ti conosco
  5. Caravan
  6. Sole zingaro
  7. Mutui
  8. Scimmia
  9. Il camionista
  10. Il pollo

Qui il link per l’acquisto di una copia fisica.

Intervista a I Patagarri, “L’ultima ruota del caravan”

I Patagarri, cominciamo dal titolo del vostro disco d’esordio: “L’ultima ruota del caravan”. Da dove nasce e cosa rappresenta per voi?

Il titolo è nato quasi per caso, durante un tragitto in traghetto. Ci siamo resi conto che molte delle storie che raccontiamo nell’album parlano di persone ai margini, di chi spesso viene lasciato indietro. Così è venuta l’immagine dell’ultima ruota del caravan, quella che tiene tutto in equilibrio ma che nessuno guarda. Era perfetta per descrivere l’universo umano e sociale che volevamo raccontare.

Avete dichiarato che volevate mantenere sincerità e spontaneità nel disco, evitando le convenzioni patinate del mercato. Quanto è stato difficile farlo?

Incredibilmente semplice. A X Factor siamo sempre rimasti fedeli al nostro stile, anche reinterpretando brani non nostri. Per il disco abbiamo scelto un produttore che stimavamo, legato a Vinicio Capossela, e abbiamo costruito i pezzi come li sentivamo. Nonostante i timori iniziali legati all’ambiente discografico, abbiamo avuto la libertà di fare la nostra musica.

Nel disco si avverte una grande libertà anche nella produzione. Alcune parti sono registrate in presa diretta, addirittura in ambienti non convenzionali. Perché questa scelta?

Volevamo restituire la dimensione viva e sporca della nostra musica. Alcune tracce sono registrate con un solo microfono, con rumori improvvisi, strumenti inusuali, cori spontanei. Anche lo strumento che imita la mucca o il battito di piedi su un palchetto. Veniamo dalla strada: per noi il silenzio è un lusso. Nella strada convivono caos e bellezza, e nel disco abbiamo voluto conservarli.

Qual è il valore della scrittura per immagini nel vostro percorso?

Fondamentale. Siamo cresciuti raccontando storie. Nei brani c’è sempre un’immagine, un personaggio, una scena che cattura. Quando si suona per strada, devi saper afferrare l’attenzione, e l’immaginazione è lo strumento più potente. In Scimmia o Sogni, ad esempio, creiamo mondi e lasciamo che l’ascoltatore ci entri dentro.

In “Sogni” citate figure come Saviano, Turetta e Messina Denaro. Perché?

Per dimostrare che tutti sognano, a prescindere da chi sono o cosa hanno fatto. È una riflessione sulla natura umana. Sognare è un diritto e una condizione universale. Non stiamo giustificando nessuno, ma mettendo tutti sullo stesso piano emotivo. È un modo per dire: anche loro sono umani.

Il brano “Mutuo” sembra un rito di passaggio contemporaneo. È così?

Esattamente. Ci piaceva l’idea del mutuo come prova d’iniziazione moderna. In certe culture vai nella giungla per diventare adulto. Qui, firmi un mutuo. E magari non ne esci più. È un simbolo di precarietà, di ansie condivise da tutta una generazione.

“Diavolo” sembra invece una critica al sistema musicale. È corretto?

Parzialmente. Parla della paura di perdere se stessi, di vendersi. L’abbiamo scritta dopo X Factor, quando tutto stava cambiando e non sapevamo bene cosa aspettarci. È una riflessione su quanto sia facile farsi attrarre da compromessi, ma anche un promemoria per restare fedeli a chi siamo.

Com’è cambiato il vostro rapporto col pubblico dopo X Factor?

C’è più gente ai concerti, ma la cosa più bella è vedere qualcuno sotto il palco che canta i nostri pezzi anche prima che l’album fosse uscito. Abbiamo sempre suonato le nuove canzoni nei live, anche quando erano ancora inedite. Questo ci ha aiutato a capire se funzionavano davvero. E quando senti qualcuno cantarle, capisci che hanno colpito.

Cosa ci aspetta per l’estate dei Patagarri?

Tanti concerti. Il palco è il nostro habitat naturale. Vogliamo suonare il più possibile, portare queste storie in giro e continuare a incontrare chi ci ascolta. Ogni concerto è uno scambio, un momento vero. E di verità, oggi, ce n’è tanto bisogno.

Qui il calendario dei concerti e Qui il link per l’acquisto dei biglietti.

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