Maschi Veri: fallire una riflessione sociale in otto puntate

Maschi Veri: la parodia fallita di una crisi identitaria Seguiteci sempre anche su LaScimmiaPensa e iscrivetevi al nostro canale WhatsApp! Maschi Veri, la nuova serie italiana distribuita da Netflix, si propone come una commedia attuale, ironica, persino provocatoria, sulla crisi della mascolinità nell’era del post-femminismo. Ma il risultato è una deludente combinazione di superficialità tematica, regia anonima e […] L'articolo Maschi Veri: fallire una riflessione sociale in otto puntate proviene da LaScimmiaPensa.com.

May 24, 2025 - 19:10
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Maschi Veri: fallire una riflessione sociale in otto puntate

Maschi Veri: la parodia fallita di una crisi identitaria

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Maschi Veri, la nuova serie italiana distribuita da Netflix, si propone come una commedia attuale, ironica, persino provocatoria, sulla crisi della mascolinità nell’era del post-femminismo. Ma il risultato è una deludente combinazione di superficialità tematica, regia anonima e interpretazioni monocordi.

C’è un momento preciso, durante la visione di Maschi Veri, in cui lo spettatore attento si rende conto che qualcosa è irrimediabilmente fuori fuoco: è la sensazione che il prodotto stesso non abbia capito la materia che pretende di rappresentare.

Maschi Veri è il classico esempio di serie scritta per intercettare una moda narrativa, quella della crisi del maschio alfa, senza possedere né gli strumenti culturali né la visione autoriale per affrontarla.

Dal punto di vista registico, Maschi Veri soffre di un impianto visivo statico e privo di ambizioni estetiche. Le inquadrature, funzionali solo alla narrazione dialogica, sembrano estratte da un manuale di tecnica audiovisiva basilare.

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Non si rileva alcuna volontà di sperimentazione, né un impiego espressivo della camera capace di amplificare il senso dei dialoghi o di conferire ritmo alla narrazione. La regia di Maschi Veri si limita a registrare, più che dirigere, le vicende dei protagonisti, lasciando lo spettatore intrappolato in una successione piatta di scene prevedibili e prive di tensione.

Anche la fotografia in Maschi Veri contribuisce a questo clima di mediocrità visiva: i toni cromatici sono neutri, privi di qualsiasi pregnanza simbolica o estetica. L’illuminazione, monotona e priva di contrasto, livella ogni scena in un grigiore indistinto, contribuendo a una generale percezione di monotonia e scarsa profondità.

Il vero nodo critico della serie è la sua sceneggiatura. Maschi Veri tenta di articolare un discorso sulla trasformazione dei ruoli maschili nella società contemporanea, ma lo fa utilizzando una grammatica narrativa stereotipata e anacronistica.

I quattro protagonisti di Maschi Veri incarnano altrettante caricature: l’uomo insicuro, il seduttore impenitente, il marito represso e il quarantenne in crisi esistenziale. Non vi è traccia di introspezione, né tantomeno di evoluzione psicologica.

Ogni personaggio è costruito attorno a un singolo tratto distintivo e reiterato fino all’esasperazione, senza che la narrazione si prenda il rischio di metterne in discussione i presupposti o di aprire varchi di complessità.

La comicità, che dovrebbe essere il motore di Maschi Veri, risulta prevedibile, le battute sembrano provenire da un cabaret di inizio anni Duemila, incapaci di offrire una satira efficace o di stimolare una riflessione autentica sul tema.

C’è una differenza fondamentale tra leggerezza e superficialità. La prima è uno strumento sofisticato (basti pensare a Calvino) capace di rendere affrontabili tematiche complesse senza appesantirle. La seconda è la rinuncia.

Maschi Veri sceglie la seconda strada: anziché affrontare con intelligenza i nodi culturali della mascolinità tossica, si limita a galleggiarvi sopra.

L’ironia, più che pungente, è accomodante; più che dissacrante, è addomesticata. In definitiva, il testo narrativo manca del coraggio necessario per affrontare con autenticità e profondità un argomento tanto sfaccettato come quello della mascolinità in crisi.

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L’aspetto recitativo in Maschi Veri costituisce un ulteriore anello debole dell’opera. Gli attori principali, pur vantando in alcuni casi esperienze solide, sembrano incapaci di modulare le proprie interpretazioni al di fuori di registri eccessivamente teatrali o grotteschi.

La recitazione in Maschi Veri risulta spesso enfatica, caricaturale, scollegata da un reale approfondimento psicologico del personaggio. L’effetto è forzato, artificioso, e che impedisce qualsiasi forma di immedesimazione o empatia da parte dello spettatore.

L’incapacità interpretativa in Maschi Veri è particolarmente evidente nei momenti in cui la sceneggiatura tenta, seppur timidamente, una virata verso il drammatico. Le battute che dovrebbero aprire squarci emotivi o mettere in discussione i comportamenti dei protagonisti vengono invece recitate con l’intonazione di chi si è limitato a imparare il copione senza comprenderlo davvero.

Ciò che più delude in Maschi Veri non è tanto la leggerezza del tono, che anzi, in molte opere di qualità rappresenta un prezioso strumento per veicolare contenuti importanti, quanto la pretesa di affrontare una materia complessa senza mai davvero sporcarsi le mani.

Maschi Veri solleva problemi come la paternità fragile, l’educazione affettiva, la crisi del patriarcato, ma li affronta sempre da una distanza di sicurezza. Più che un’analisi, si limita a una parodia. Più che una riflessione, propone una farsa.

Le donne, nella narrazione, sono ridotte a comparse o semplici catalizzatrici dei percorsi dei protagonisti. Non hanno spessore, non esprimono prospettive autonome. Anche qui, la tridimensionalità è un miraggio.

Maschi Veri è, in definitiva, un prodotto che fallisce nel suo intento principale. Anziché essere uno specchio critico della società attuale, si rivela un collage di gag inoffensive e situazioni scollegate che non costruiscono alcun discorso coerente.

In un contesto in cui la riflessione sull’identità di genere, maschile compresa, è più urgente che mai, prodotti come questo rischiano di contribuire alla confusione generale anziché chiarire, di intrattenere senza divertire, di raccontare senza dire nulla.

Non è solo una serie sbagliata: Maschi Veri è un’occasione persa. Il maschio vero, quello vero davvero, oggi si interroga, sbaglia, ascolta, si spoglia delle sue corazze. Qui, invece, si ride per non cambiare. Si semplifica per non capire. Si rappresenta per non mettersi in discussione.

Perché il maschio vero, oggi, non è quello che teme di mostrarsi vulnerabile, ma quello che ha il coraggio di cercare le parole giuste per raccontarsi. E Maschi Veri, quei termini, non li ha trovati.

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