Stephen King: The Jaunt, il suo racconto con il finale più disturbante di sempre
Se pensate di essere stati traumatizzati a sufficienza dalle storie di Stephen King, probabilmente è perché non avete ancora letto The Jaunt: il finale di questo racconto breve del 1981 vi toglierà il sonno The Jaunt – titolo italiano: Il Viaggio – è un racconto di Stephen King del 1981, poi inserito nella raccolta Skeleton […] L'articolo Stephen King: The Jaunt, il suo racconto con il finale più disturbante di sempre proviene da LaScimmiaPensa.com.

Se pensate di essere stati traumatizzati a sufficienza dalle storie di Stephen King, probabilmente è perché non avete ancora letto The Jaunt: il finale di questo racconto breve del 1981 vi toglierà il sonno
The Jaunt – titolo italiano: Il Viaggio – è un racconto di Stephen King del 1981, poi inserito nella raccolta Skeleton Crew (Scheletri, 1985), la stessa in cui si trovano anche The Mist e The Monkey, quest’ultimo di recente adattato nel film horror di Osgood Perkins uscito nel 2025. Ma The Jaunt è ben diverso, difficile da adattare perché legato a un orrore più concettuale che visivo.
Il racconto non descrive violenze o incubi sovrannaturali, non ci sono mostri o persone possedute da demoni o ragazzine con poteri telecinetici, niente vampiri millenari o lupi mannari o morti che tornano in vita. Lo scenario è invece fantascientifico e distopico, e fino alla fine appare come il semplice preambolo del viaggio di una famigliola verso Marte.
Nella storia – che raccontiamo brevemente, quindi faremo SPOILER – Mark Oates si prepara ad andare su Marte con la sua famiglia: moglie, figlia e il piccolo figlio Ricky. Ci andranno con un sistema avveniristico inventato, in questo universo alternativo, negli anni ’80 del ventesimo secolo: è detto il Jaunt (traducibile come “balzo”). In pratica, un sistema di teletrasporto.
Le persone possono viaggiare con questo sistema per distanze indicibili nel giro di pochissimo tempo, ma solo a patto di essere incoscienti. Perciò, chi viaggia viene prima addormentato col gas. Per tranquillizzare la sua famiglia Mark racconta, addolcendola, la storia di come l’inventore Victor Carune ideò il Jaunt nel 1987, scoprendone il funzionamento per caso e a suon di fallimenti.
Quello che però non racconta è che cosa succede a chi si sottopone al Jaunt se perfettamente cosciente: viene implicato che, mentre nel teletrasporto il corpo passa da un punto all’altro in un attimo, lo stesso non avviene con la mente del viaggiatore. E gli effetti si vedono sulle cavie animali impiegate per gli esperimenti, impazzite o morte subito dopo il balzo.
Mark non racconta alla sua famiglia del caso di un criminale condannato a morte al quale venne proposta la grazia purché provasse il Jaunt da sveglio: costui ne uscì sconvolto e traumatizzato, dicendo: “C’è l’eternità là dentro” e morendo subito dopo di un attacco di cuore. Mark trova queste storie inquietanti ma ha già provato il balzo diverse volte e sa che, se si è incoscienti, non c’è nulla da temere.
Tuttavia, sottovaluta la curiosità spasmodica ed entusiasta del figlio Ricky. I quattro si sottopongono alla procedura e dopo il viaggio si risvegliano arrivati su Marte: ma appare subito che in Ricky c’è qualcosa che non va. Il bambino è fuori di sé, completamente folle, ed è chiaro che ha vissuto qualcosa di terribile.
Il ragazzino svela quindi di aver trattenuto il respiro quando a tutti loro è stato somministrato il gas, restando quindi sveglio durante il Jaunt. Il quale, viene suggerito, è un viaggio pressoché infinito per la mente, anche se quasi istantaneo per il corpo. Chi lo affronta da sveglio deve quindi restare cosciente per una eternità di niente, forse di vuoto bianco immutabile, e poi alla fine venire risvegliato.
Ricky infatti strilla, rivolto a suo padre: “Più a lungo di quanto pensi! Volevo vedere! Ho visto!” e a quel punto, totalmente impazzito, si strappa via gli occhi con le dita. Immaginate di essere intrappolati in un nulla cosmico per chissà quanto – forse milioni di anni? – e di non poter scappare, né svegliarvi, né dormire. Un orrore inimmaginabile, che solo King poteva concepire e che terrorizza ben più di vampiri e lupi mannari.
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