Survive the Fall Recensione: l’autunno del post apocalittico
Survive the Fall, opera di Angry Bulls Studio pubblicata da Toplitz Productions, si inserisce nel filone dei giochi di ruolo con forti elementi di sopravvivenza, proiettando il giocatore in uno scenario post-apocalittico scaturito dall’impatto di un meteorite. L’ambizione dichiarata è quella di superare la mera lotta per la sussistenza, ponendo l’accento sulla ricostruzione di una […] L'articolo Survive the Fall Recensione: l’autunno del post apocalittico proviene da Vgmag.it.


Survive the Fall, opera di Angry Bulls Studio pubblicata da Toplitz Productions, si inserisce nel filone dei giochi di ruolo con forti elementi di sopravvivenza, proiettando il giocatore in uno scenario post-apocalittico scaturito dall’impatto di un meteorite. L’ambizione dichiarata è quella di superare la mera lotta per la sussistenza, ponendo l’accento sulla ricostruzione di una comunità e, in prospettiva, di una nuova civiltà dalle macerie di un mondo perduto. Questa premessa, sebbene non inedita nel panorama videoludico, offre spunti di potenziale interesse, soprattutto se supportata da meccaniche innovative e da una narrazione coinvolgente. Un aspetto che emerge positivamente sin dalle fasi iniziali è rappresentato dalla flessibilità offerta al giocatore nella personalizzazione del livello di sfida. Il titolo permette infatti di calibrare la difficoltà attraverso una serie di parametri distinti, che includono non solo l’osticità dei combattimenti e le esigenze primarie di sopravvivenza (fame, sete, malattie), ma anche l’efficacia delle azioni furtive (stealth), la velocità di deterioramento delle risorse e le problematiche gestionali del campo base. Questa granularità nel settaggio consente, almeno in teoria, di adattare l’esperienza di gioco alle preferenze e alle capacità di un’ampia gamma di utenti, dai neofiti del genere ai veterani in cerca di una sfida particolarmente ardua. Tale approccio alla configurazione della difficoltà rappresenta un indubbio vantaggio, permettendo a ciascun giocatore di definire i contorni della propria personale lotta per la sopravvivenza in un mondo intrinsecamente ostile.
L’universo ludico di “Survive the Fall” evoca, per certi versi, le atmosfere desolate e le rovine tentacolari tipiche della serie Fallout, presentandosi tuttavia come una sua interpretazione se possibile ancora più spoglia e irrimediabilmente compromessa. L’impatto visivo iniziale, pur con le sue tinte autunnali e una generale cupezza che ben si addice al contesto, cede progressivamente il passo a una percezione di monotonia. Questa sensazione, se da un lato può essere interpretata come una scelta stilistica volta a sottolineare l’opprimente desolazione di un mondo post-catastrofe, dall’altro finisce per smorzare l’entusiasmo esplorativo sul lungo periodo. La ripetitività di certi pattern ambientali e la scarsità di landmark realmente memorabili contribuiscono a un appiattimento dell’esperienza visiva. Dal punto di vista prettamente grafico, anche spingendo le impostazioni al massimo dettaglio consentito, il titolo manifesta limiti strutturali piuttosto evidenti. La qualità dei singoli asset, pur variando, spesso non riesce a integrarsi in un insieme armonico e credibile. Si osserva una problematica diffusa per cui gli elementi dello scenario come edifici, vegetazione, detriti che sembrano parlare poco tra loro, come se fossero stati assemblati da librerie grafiche eterogenee senza un’adeguata fase di amalgama stilistica. Questa disomogeneità si traduce in una resa visiva che, in diversi frangenti, tradisce un’impronta più vicina a una produzione indipendente con risorse limitate che a un prodotto rifinito sotto ogni aspetto. Non è raro imbattersi in texture a bassa risoluzione accostate ad altre più definite, o in modelli poligonali la cui semplicità stona con la complessità di altri elementi circostanti. Alcuni asset, poi, appaiono quasi decontestualizzati, come se fossero stati inseriti nello scenario in modo casuale, senza una reale logica diegetica (iniziamo ad imparare questi termini visto che il videogioco va trattato come un’opera d’arte. In ogni caso significa “attinente alla narrazione, a favore di una maggiore comprensione della narrazione”) o un’attenzione alla coerenza visiva complessiva.
Survive the Fall: esplorazione che passione!
L’esplorazione, che dovrebbe costituire uno dei pilastri di un titolo survival-open-world, è afflitta da scelte di design che ne limitano la portata e la gratificazione. La presenza di barriere invisibili o di ostacoli fisici chiaramente posticci come rocce invalicabili che per logica morfologica non dovrebbero esserlo, detriti che bloccano passaggi in modo innaturale frustra costantemente il desiderio del giocatore di investigare liberamente l’ambiente. Ci si scontra con l’idea che l’interazione sia permessa solo ed esclusivamente con ciò che è stato esplicitamente previsto dagli sviluppatori, castrando ogni tentativo di approccio creativo o di sfruttamento intelligente della conformazione del terreno. Questa rigidità è ulteriormente aggravata dalla constatazione che molte aree del mondo di gioco, pur formalmente accessibili e magari richiedenti deviazioni o sforzi per essere raggiunte, si rivelano sconfortantemente vuote: nessun loot significativo, nessun incontro particolare, nessun elemento narrativo o ambientale di rilievo. Sebbene la scarsità di risorse sia un elemento tematicamente coerente con un’ambientazione post-apocalittica, la frequenza con cui l’esplorazione si traduce in un nulla di fatto genera un senso di scoramento, minando alla base la motivazione a deviare dal percorso principale o a investigare ogni anfratto con la dovuta curiosità. La promessa di un mondo vasto da scoprire si scontra così con la realtà di spazi spesso sterili, la cui esplorazione non ripaga l’investimento di tempo ed energie del giocatore.
Le meccaniche fondamentali di interazione con l’ambiente e di gestione delle risorse in “Survive the Fall” presentano una serie di criticità che impattano negativamente sulla fluidità e sul piacere dell’esperienza di gioco. Una scelta di design particolarmente tediosa e pervasiva è la necessità di mantenere premuto un tasto per un lasso di tempo prolungato al fine di compiere numerose azioni basilari, come la raccolta di materiali, l’apertura di contenitori o l’interazione con specifici oggetti dello scenario. Questa meccanica, applicata indiscriminatamente, appesantisce il ritmo di gioco senza aggiungere alcun valore ludico o immersivo; al contrario, si traduce in una costante fonte di micro-frustrazione, specialmente quando tali azioni devono essere ripetute decine di volte nel corso di una sessione. A ciò si aggiunge l’inspiegabile imposizione, in determinati contesti, di costringere il personaggio del giocatore a rimanere completamente immobile durante l’atto della raccolta di oggetti, anche quando l’ambiente circostante è privo di qualsiasi minaccia o nemico. Questa staticità forzata non solo interrompe innaturalmente il flusso dell’azione, ma appare priva di qualsiasi giustificazione logica o di gameplay, contribuendo a un senso di legnosità e artificiosità dei controlli.
La lentezza esasperante con cui si svolge la raccolta delle risorse primarie è un altro nodo problematico. Il tempo richiesto per accumulare quantità anche modeste di materiali essenziali, come legna o rottami metallici, risulta sproporzionato rispetto all’effettiva utilità di tali risorse nelle prime fasi di gioco e, soprattutto, rispetto all’assenza di pericoli contestuali. Dover dedicare minuti interi alla raccolta di pochi elementi, in un ambiente sicuro, trasmette la sensazione di un allungamento artificiale dei tempi di gioco, piuttosto che di una sfida di sopravvivenza ben calibrata. Questa lentezza non è percepita come una meccanica survival realistica, ma come un ostacolo fine a se stesso. Un’ulteriore limitazione che incide negativamente sulla libertà di movimento e sulla risoluzione di problemi ambientali è la quasi totale incapacità del personaggio di superare ostacoli verticali anche di modesta entità, come rocce di medie dimensioni o piccole sporgenze. Questa rigidità nel sistema di attraversamento costringe frequentemente il giocatore a compiere deviazioni lunghe e macchinose per aggirare impedimenti che, in un contesto di gioco moderno, dovrebbero essere facilmente sormontabili con un semplice salto o una meccanica di arrampicata basilare. Tale problematica diventa particolarmente frustrante durante le fasi di combattimento o quando si è inseguiti da nemici, poiché preclude vie di fuga intuitive o la possibilità di raggiungere posizioni tatticamente vantaggiose, imbrigliando il giocatore in percorsi predefiniti e spesso poco logici. L’esplorazione stessa ne risente, poiché la verticalità dello scenario, laddove presente, rimane in gran parte inaccessibile e puramente estetica, una red flag abbastanza significativa rispetto a quello che Survive the Fall ci aveva promesso.
Combattere in isometria oggi come ieri, più come ieri…
Il sistema di combattimento di Survive the Fall tenta di offrire un approccio ibrido, combinando azione in tempo reale con la possibilità di attivare una pausa tattica. Durante questa pausa, il giocatore può, in teoria, analizzare con calma la situazione, impartire ordini specifici ai membri della propria squadra e pianificare le mosse successive. Tuttavia, nell’esperienza pratica e al livello di difficoltà affrontato durante l’analisi, l’utilità effettiva di questa funzionalità si è rivelata piuttosto limitata. Le dinamiche degli scontri spesso non hanno incentivato un uso approfondito della pausa tattica, risolvendosi prevalentemente attraverso un approccio più diretto, seppur non privo di criticità intrinseche al sistema di controllo e alla reattività dei personaggi. Un aspetto che invece ha destato un certo interesse è rappresentato dalle meccaniche di stealth di gruppo. La possibilità di coordinare i movimenti furtivi della squadra, di designare bersagli per eliminazioni silenziose o di creare diversivi per aggirare pattuglie nemiche offre spunti strategici validi e rappresenta una delle poche aree in cui il gioco riesce a proporre qualcosa di più stimolante rispetto a un approccio puramente frontale (sul seppellimento dei cadaveri però stendiamo un velo pietoso in quanto è possibile sotterrarli anche sulla fusoliera di un aereo).
La gestione della visibilità e del rumore prodotto dal gruppo, unita alla necessità di studiare i percorsi di ronda degli avversari, può portare a sequenze tese e gratificanti quando un piano ben congegnato va a buon fine (Hannibal sei tu?). Nonostante ciò, l’esperienza di combattimento nel suo complesso soffre di una certa legnosità nei controlli e nelle animazioni, come già accennato in relazione alle interazioni generali. I movimenti dei personaggi durante gli scontri appaiono a tratti impacciati, con una risposta ai comandi non sempre immediata o precisa. Questo si traduce in una sensazione di scarsa fluidità, specialmente negli scontri corpo a corpo, dove la precisione e il tempismo sono fondamentali (il nostro personaggio può anche schivare). L’intelligenza artificiale dei nemici presenta alti e bassi: in alcune occasioni, gli avversari dimostrano una discreta capacità di utilizzare le coperture, di accerchiare il giocatore o di reagire in modo coordinato alla presenza della squadra; in altre, invece, palesano comportamenti scriptati, prevedibili o addirittura illogici, incastrandosi nell’ambiente o esponendosi goffamente al fuoco nemico. Questa incostanza nel comportamento dell’IA rende difficile prevedere l’esito degli scontri e, a volte, ne riduce la credibilità e il livello di sfida percepito.
La componente gestionale relativa alla costruzione e allo sviluppo della base operativa rappresenta una delle colonne portanti dell’esperienza di Survive the Fall, ma è afflitta da problematiche significative che ne minano la fruibilità. La navigazione all’interno dei menu dedicati alla costruzione, all’assegnazione dei compiti ai sopravvissuti e alla gestione delle risorse si rivela eccessivamente lenta e farraginosa per capirci sembra di essere tornati al primo Settlers. L’interfaccia utente, pur cercando di presentare una grande quantità di informazioni, risulta spesso poco intuitiva, con sottomenu annidati e un flusso di interazione che richiede un numero eccessivo di passaggi per compiere operazioni relativamente semplici. Questa macchinosità si traduce in una perdita di tempo considerevole e in una curva di apprendimento più ripida del necessario per padroneggiare gli aspetti gestionali del titolo. A queste difficoltà si somma una gestione della telecamera che, in molteplici contesti, si dimostra veramente pessima. Durante la fase di costruzione, l’angolazione fissa o le limitate possibilità di rotazione e zoom spesso impediscono una visuale chiara dell’area di edificazione, rendendo difficoltoso il posizionamento preciso delle strutture o la pianificazione ottimale del layout dell’insediamento. La possibilità di velocizzare lo scorrere del tempo durante le fasi di costruzione o di attesa del completamento di determinate attività, sebbene presente, non riesce a mitigare in modo significativo la lentezza generale che caratterizza questi processi.
Anche con l’accelerazione attivata, i tempi di attesa per la realizzazione di strutture più complesse o per la ricerca di nuove tecnologie rimangono considerevoli, contribuendo a una sensazione di progressione a tratti stagnante. Questa lentezza intrinseca, combinata con un’interfaccia poco reattiva e una telecamera problematica, rende la componente gestionale del gioco più un onere che un piacere, nonostante le sue potenzialità strategiche. La direzione artistica relativa ai personaggi, sia quelli controllati dal giocatore sia i comprimari e gli antagonisti, si rivela uno dei punti più deboli della produzione. Lo stile grafico adottato per i protagonisti è veramente stiracchiato in uno disegno vuoto con un design che indulge in stereotipi triti e ritriti del genere post-apocalittico. I volti mancano di espressività e carisma, le corporature e l’abbigliamento appaiono generici e privi di quella cura del dettaglio che potrebbe contribuire a renderli memorabili o quantomeno distintivi. Il disegno generale è scialbo, quasi frettoloso, e non riesce a infondere nei personaggi una reale personalità visiva. Questa carenza si estende anche ai nemici, che raramente si discostano da archetipi già visti in innumerevoli altre produzioni. L’inventario poi è veramente piccolo ed in un gioco dove bisogna recuperare risorse in giro è un problema serio, di fatto vi costringerà a rapide uscite di recupero (in cui non incontrerete nemmeno un cattivo) che però, bisogna dirlo, ci fanno rientrare alla base alla velocità di click sulla mappa sempre che la noia e la banalità dell’azione non vi assalga prima. Nota di cronaca, in tutta l’esperienza di gioco non abbiamo incontrato un cattivo che valga la pena di chiamare tale.
In conclusione, “Survive the Fall” si presenta come un titolo che, pur partendo da una premessa intrigante e offrendo alcune interessanti opzioni di personalizzazione fatica a tradurre le proprie ambizioni in un’esperienza di gioco costantemente appagante e tecnicamente solida. Le numerose criticità evidenziate, che spaziano da una realizzazione grafica non sempre all’altezza a meccaniche di gioco spesso farraginose e poco intuitive, passando per problematiche legate alla telecamera e a una generale sensazione di scarsa rifinitura, delineano un quadro complesso. La libertà esplorativa è limitata da barriere artificiali e dalla scarsa remuneratività di molte aree, mentre la componente gestionale, pur potenzialmente profonda, è appesantita da un’interfaccia lenta e da tempi di attesa prolungati. Il combattimento e lo stealth offrono spunti alterni, con quest’ultimo che si rivela più interessante del primo, inficiato da una certa legnosità. La direzione artistica dei personaggi e la sensazione di “déjà vu” contribuiscono a un’esperienza che raramente riesce a sorprendere o a distinguersi per originalità. Il risultato è un prodotto che richiede al giocatore una notevole dose di pazienza e una forte capacità di adattamento a scelte di design a tratti discutibili, lo sforzo complessivo potrebbe non essere percepito come pienamente giustificato dalla qualità finale dell’esperienza offerta. Tuttavia agli appassionati del genere, è innegabile potrebbe piacere… per un paio di ore!
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